Imparare a morire
di Sabina Fresch
“Nutro la speranza che la vita di ogni persona sia sempre dignitosa, piena di significato, degna di essere vissuta, e che ognuno sia pienamente consapevole di ciò che realmente rappresenta come essere umano e spirituale”.
A poco più di un anno dall’inizio ufficiale dell’emergenza sanitaria, mi trovo a riflettere sul significato che oggi riveste il tema del morire. Quali sono gli spazi del nostro esistere che vengono coinvolti di fronte al termine “morte”? Oggi sentiamo la morte più vicina a noi? Dopo quanto abbiamo vissuto, ci troviamo a relazionarci con questo pensiero in maniera differente? Con maggiore comprensione?
Abbiamo imparato a consapevolizzare che è parte della nostra vita, o continuiamo a negarne l’esistenza relegandola in quel luogo che non ci riguarda e che, lontano da noi, non ci coinvolge?
In questo anno si è parlato spesso di perdita e lutto, di mancata facoltà di celebrare l’ultimo saluto, dell’impossibilità di congedarci dal nostro caro, di quanto questo può significare per chi rimane, di come possiamo essere utili a coloro che hanno vissuto la morte di una persona vicina senza poterla assistere, accompagnare, salutare.
Aspetti importantissimi, sui quali molte persone hanno investito offrendo le loro competenze e il loro prezioso supporto.
E proprio per quanto è accaduto in questo ultimo anno, mi chiedo: siamo diversi oggi? Abbiamo integrato dei valori che prima non prendevamo in considerazione? Ci siamo fermati a riflettere maggiormente su aspetti che in passato ci sembravano non riguardare noi?
La morte è parte della vita e imparare ad accettarla ritengo sia uno degli obiettivi della nostra esistenza.
Parlare della morte significa in realtà parlare della vita.
Ho imparato che iniziamo ad avvicinarci alla morte nel momento nel quale nasciamo. L’infanzia e poi l’adolescenza ci aiutano a prepararci all’autonomia, all’età adulta, alla “vita vera”. Ma quando, in quale fase della vita noi ci prepariamo alla morte? Chi ci insegna a farlo?
Fin da piccola mi accompagna un sentire profondo che mi lega al morire, e mano a mano che sono cresciuta ha preso maggiormente corpo dentro di me la convinzione che la morte va affrontata da vivi, va conosciuta, va considerata come elemento importante della nostra esistenza, e va fatto quando non abbiamo ancora legami diretti con essa, quando cioè siamo sani e non abbiamo dentro di noi la pena per una persona cara che ci lascia.
“Ricordati che devi morire”. Questa affermazione che facilmente nella nostra società viene letta in maniera negativa come un monito, ho compreso invece essere un’esortazione a vivere pienamente.
Siamo abituati a guardare alla nostra vita dal punto di nascita, e questo ha fatto in modo che ciò che ci caratterizza sia la sensazione di avere sempre tempo per fare qualsiasi cosa, per ogni decisione da prendere, per ogni azione da condurre con il conseguente risultato che siamo diventati bravissimi ad allontanare da noi ciò che non vogliamo affrontare, tanto più se si tratta di un pensiero scomodo.
Questo atteggiamento lo assumiamo in primis rispetto all’idea della morte, con il conseguente risultato che quando arriva e ci dobbiamo per forza confrontare con essa, siamo smarriti.
Ho imparato che guardare alla vita dal nostro punto di morte, cambia completamente la prospettiva, e modifica il nostro agire quotidiano che diventa un realizzare i nostri progetti, i desideri, le cose in cui crediamo, consapevoli che c’è un tempo entro il quale dobbiamo agire, avvicinandoci così al momento della nostra morte come ad un appuntamento a cui farci trovare preparati, una data entro la quale aver realizzato quanto desideravamo in questa vita.
Ho accompagnato diverse persone nel loro passaggio, uomini e donne legati a me da rapporti affettivi differenti; amici, parenti, conoscenti, diversi nel loro modo di essere, più o meno aperti nel palesare le loro emozioni. Tutti però accomunati da un emozione/energia intensa, coinvolgente che anima chi sta per affrontare “il viaggio”.
Ho imparato quanto sia importante rimanere in relazione anche, e oserei dire, ancor più, di fronte alla paura delle difficoltà che l’ignoto ti può riservare. Ho sentito quanto diventa puro e reale il dialogo, lo scambio, la condivisione. Ho imparato quanto sia più facile lasciarsi andare, scivolando tra le emozioni arricchenti e intuitive, che rimanere aggrappati a delle modalità “corrette” e in qualche modo costruite.
Imparare a comprendere la morte all’interno dei nostri pensieri significa accettare che tutto ciò che ha un inizio ha anche una fine. E la fine non è meno importante dell’inizio!
Il dispiacere e il dolore per la perdita ritengo siano parte dell’animo umano, ed ho compreso che questo momento è tanto più doloroso quanto più viviamo la morte dal nostro punto di vista, cioè da chi rimane: in maniera egoistica siamo portati a pensare al fatto che noi non potremmo più vedere quella persona, condividere dei momenti con lei. Ci sentiamo privati della sua presenza fisica. Ma se solo guardassimo la morte dal punto di vista di chi se ne va, nel rispetto delle credenze di ognuno questo momento diventa un passaggio per una dimensione diversa, alla stregua della nascita la morte diventa il passaggio verso la luce, verso un’altra dimensione.
E non perdiamo nulla e nessuno, perché chi è morto continua a vivere con noi attraverso ciò che ci ha lasciato: “E’ possibile morire senza mai cessare di esistere”.
Ho avuto spesso l’onore anche di essere vicina a chi ha perso un proprio caro e anche in queste esperienze ho potuto constatare quanto sapersi congedare e trovare la modalità più adatta a sé nel lasciar andare il defunto, permetta di “rimanere” con maggiore serenità.
Al di là delle competenze acquisite attraverso la mia formazione, ciò che ritengo fondamentale in momenti come questi è rimanere collegati. Esserci con tutte le parti di noi possibili, e aiutare coloro che devono salutare il proprio caro a “restare lì”, a vivere ogni momento, a non fuggire, perché solo passando attraverso queste emozioni, anche se dolorose, è possibile uscirne arricchiti e in pace con se stessi e con chi non c’è più.
È importante recuperare la serenità e la dignità con le quali accompagnare la nostra morte e, quindi, la nostra vita.
L’autrice
Sabina Fresh, Operatrice olistica, diplomata presso Olami Damanhur University, pratica professionalmente Discipline del Benessere dal 1998. Fa parte del progetto “Buona Morte” nato a Damanhur (Torino), per diffondere una nuova cultura della morte (un nuovo-antico messaggio), percorso che la porta a un costante lavoro interiore e pratico sul tema della morte e del morire. Cerimoniere funebre, opera come facilitatrice di gruppi di auto mutuo aiuto per l’elaborazione del lutto presso l’Associazione Carpe Vitam di Mansuè, in provincia di Treviso (associazionecarpevitam@gmail.com).
Ha curato il libro C’è il sole oltre le nuvole (2020).