Riflessioni dal COVID
di Silvia Tanzi
In questi mesi ho avuto la possibilità di lavorare, riflettere e confrontarmi per l’emergenza sanitaria legata al COVID.
Sono un medico che lavora in Ospedale in Cure Palliative, vale a dire che mi occupo di aiutare i pazienti e le loro famiglie a soffrire meno fisicamente, spiritualmente, psicologicamente, moralmente di fronte a una malattia che mette a rischio la vita di queste persone.
È quello che ho provato a fare insieme alla mia equipe e ai colleghi di altri reparti anche durante questa pandemia, dove dai colleghi stessi è partita la richiesta di aiuto per affrontare questa situazione; una malattia che tutto aveva di nuovo e che ci rendeva molto fragili e meno sicuri delle nostre certezze, almeno scientifiche.
Abbiamo lavorato nel reparto di Malattie Infettive e col reparto di Pneumologia in particolare, i reparti dove in primis questi pazienti venivano ricoverati (essendo una malattia virale che prendeva il respiro) e fin da subito è iniziato un fitto scambio di competenze e stati d’animo con i nostri colleghi; l’affrontare insieme una situazione del genere ha fatto sì che si creassero rapporti di stima e collaborazioni come non mai prima. L’essere insieme travolti, quasi “rincorsi” dai bisogni di questi pazienti fragili da gestire con la reale presenza ogni giorno di poter incontrare la morte, ha fatto sì che tutti noi sentissimo un’urgenza di interrogarci, di trovare risposte, di confrontarci e di consolarci a vicenda. Ci siamo sentiti vulnerabili sia nelle nostre competenze scientifiche che nella nostra stessa salute, entrando ogni giorno in quelle stanze ad affrontare una malattia di cui sapevamo poco o niente della cura, di cui non avevamo il vaccino, che portava a non respirare, di cui intuivamo appena il possibile decorso.
E “vestiti” di questa vulnerabilità entravamo nella stanza dei pazienti per dare loro aiuto.
Questo le persone malate che ho assistito lo capivano e lo apprezzavamo, così le loro famiglie. La “terapia” che davamo semplicemente con la nostra presenza nella stanza era già questa cura; curava lo sguardo occhi negli occhi che rimaneva nonostante tute, visiere e mascherine, curava il tono di voce tranquillo e accogliente delle brevi conversazioni sui sintomi fisici e sui contatti con i familiari, curava essere visitati e toccati nonostante i guanti in quelle stanze singole di isolamento.
Quei gesti ridavano dignità a persone che in un momento si erano trovate da sane a rischio di vita, piene di informazioni e immagini terrorizzanti date dalle tv, desiderose di un conforto, di una presenza accanto a loro. Certo non eravamo la loro famiglia, ma eravamo persone che cercavamo di aiutarle ed eravamo lì.
Questi mesi mi hanno permesso di ripensare molto anche al mio lavoro, a come le Cure Palliative possono mettersi in gioco e crescere, contribuire al controllo dei sintomi ma anche al dibattito etico sui pazienti lasciati fuori dalle terapie intensive, alla medicina per acuti tipica dei paesi del Terzo Mondo e non solo alla medicina della cronicità di pazienti che, affetti da una malattia inguaribile, vanno verso una fine della loro vita, alla medicina delle terapie intensive.
Là dove c’è sofferenza deve esserci una risposta e una presenza delle Cure Palliative, accanto parimenti agli altri professionisti.
Sono/siamo cresciuti riuscendo a controllare sintomi “nuovi” come delle agitazioni e dei deliri diversi da quelli che conoscevamo, abbiamo cercato di essere ancora più presenti con i pazienti soli perché isolati con famiglie in quarantena, abbiamo comunicato cattive notizie essendo noi coloro che le davano e -allo stesso tempo- coloro che sostenevano poi lo sconforto del paziente. Abbiamo cercato di rendere meno solitaria la morte di questi pazienti ricoverati, abbiamo cercato di essere vicine alle famiglie in modalità mai provate prima con smartphone, tablet, passaggi di oggetti personali.
Abbiamo cercato di passare le competenze tipiche della nostra disciplina ai nostri colleghi nel modo più rapido ed efficace possibile, occupandoci insieme a loro di trattare l’acuzia cosí come il fine vita nei casi di pazienti che non ce la facevano.
Abbiamo imparato e fatto tesoro della nostra vulnerabilità che è spazio per la creatività, scintilla di cambiamento, forza e non debolezza.
In Cure Palliative si è di fronte ogni giorno alla fragilità del nostro corpo ma ancora di più alle fragilità delle nostre menti, delle nostre emozioni ed essere di fronte a questa fragilità è un arricchimento perché mette l’uomo- inteso proprio come human being- a nudo, con le sue grandi profondità. È un privilegio condividere questo, ed è questo che mi ripeto sempre di non dimenticare mai, soprattutto in questo momento storico, alla luce di questa pandemia.
L’autrice
Silvia Tanzi, Medico palliativista, lavora in un’Unità di cure palliative da lei fondata insieme al grande dottor Costantini, dentro all’ospedale di Reggio Emilia, ospedale di Ricerca (IRCCS) da 900 posti letto. Segue circa 600 nuovi pazienti all’anno insieme alla sua equipe, pazienti che per il 70 % sono pazienti oncologici e per il resto affetti da patologie neurologiche degenerative, malattie respiratorie invalidanti, nefropatici dializzati. La sua passione per la disciplina dei più vulnerabili tra i vulnerabili è nata dieci anni fa, per caso.
Ha incontrato persone di cui si è innamorata culturalmente, uno su tutti il dottor Bruera, medico palliativista al MD Anderoson cancer Center. Da allora è cresciuta; ora la sua equipe è formata da tre medici, due infermieri, una infermiera responsabile alla formazione, un ricercatore e collaborazioni forti con l’unità di Psico-oncologia e di Bioetica. Da Unità sperimentale sono ora fissi nell’organico dell’Ospedale e tutt’ora portano avanti in parallelo attività di clinica, formazione e ricerca, che trovano ispirazione e sostegno una dall’altra.
La formazione si concretizza in progetti per gli specialisti ospedalieri tesi a migliorare diffusamente le competenze palliative di base e far comprendere la tipologia di pazienti e famiglie complesse che invece devono afferire alla loro unità specialistica. Sono sede di tirocinio di Master di I e II livello di diverse università. Silvia Tanzi fa parte dell’advisory board di SICP, è autrice di diversi articoli nazionali e internazionali sul tema delle cure palliative, è scrittrice e coautrice di tesi e testi formativi in cure palliative.