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Accanto: le paure e i dubbi di chi accompagna un malato alla morte.

Di Andrea Cavallaro

Quando la relazione d’aiuto con chi è straziato dal dolore fa tremare le gambe e ferisce profondamente le profondità dell’helper, essere utili ed efficaci verso chi chiede aiuto diventa molto complesso.

Riuscire ad individuare ciò che fa barcollare e attivare delle reazioni conseguenti per affrontare queste crisi personali, rappresenta una straordinaria modalità per migliorarsi nella modalità di supporto a chi soffre. Ho cercato allora di coinvolgere persone diverse per ruolo, professione competenze e vissuti, tutte accomunate dalla medesima esperienza: accompagnare chi sta attraversando la vita soffocata dal dolore.

Ad ognuna ho chiesto di evidenziare e condividere la loro maggiore paura, difficoltà e incapacità nel rapportarsi con chi cercano di supportare durante il lavoro o l’attività di volontariato ed evidenziare poi cosa hanno messo in campo per affrontare il possibile fallimento relazionale, professionale, umano.

L’adesione immediata, il coinvolgimento diretto, le continue revisioni dei loro testi scritti e l’assoluta disponibilità nel mettersi in gioco senza filtri, sono solo alcuni degli elementi che dimostrano quanto nell’assenza di strategie e comportamenti utili, nei dubbi personali, nel timore di non essere in grado di svolgere ciò in cui si crede fermamente, dimorino moltissime risposte.

Accanto: le paure e i dubbi di chi accompagna un malato alla morte.

L’esperienza dell’impresario funebre

L’anno scorso mi sono trovato quasi per caso in una situazione per me nuova e molto particolare, cioè accompagnare verso la morte una persona. Questa signora era affetta da una malattia molto grave che continuava a curare, ma sapeva che le possibilità di guarire erano pochissime. Cercava un’impresa funebre a cui poter chiedere informazioni e di cui potersi fidare. Ha chiesto di incontrarmi, così l’ho invitata nel mio ufficio, e lì mi ha raccontato della sua malattia, mi ha detto che avrebbe lottato fino all’ultimo per sopravvivere, ma che voleva avere “le valigie pronte” (sue testuali parole) nell’eventualità che non ce l’avesse fatta. Inizialmente mi sono trovato un po’ spiazzato e la mia prima risposta è stata del tipo: “Ma va! Vuoi davvero preoccuparti di questo? Pensi davvero che non ce la farai e che avrai bisogno di un funerale?”.

Era una situazione insolita, mi era già capitato di seguire persone che volevano scegliere il proprio funerale, ma normalmente erano persone sole o con parenti distanti e che non avevano nessuno di vicino a cui dire le proprie volontà e che quindi le manifestavano direttamente all’impresa di onoranze.  Questa donna invece aveva già le idee chiare su cosa avrebbe voluto al suo estremo saluto e desiderava che i suoi cari non avessero nulla a cui pensare quando sarebbe venuta a mancare.

Avrei potuto semplicemente mantenere un rapporto professionale che riguardasse solamente aspetti legati al mio mestiere. Non avevo esperienza diretta e non avevo ancora studiato testi sull’argomento, ma la curiosità di capire come vive, cosa pensa, che sentimenti prova una persona che ha poche possibilità di sopravvivere era molto forte per me. Inoltre questa persona riponeva molta fiducia in me e avevo la sensazione che parlando con lei in qualche modo le sarei stata di aiuto.

Mi trovavo però un po’ in imbarazzo, avevo paura ad affrontare con lei questi argomenti, di metterla di cattivo umore, farla preoccupare per il suo destino, dire qualcosa di sbagliato, non capire quand’era il momento per parlare di questioni profonde e quando invece di parlare di situazioni futili. Il suo carattere incredibilmente vivace e solare mi ha aiutato tantissimo ad entrare in confidenza con lei e a spingermi a vincere l’imbarazzo chiedendole come viveva quella situazione. Ne sono nate conversazioni lunghissime e bellissime, a volte profonde e a volte scherzose, che mi hanno cresciuto molto a livello umano.

Mi sono reso conto che nonostante fosse circondata da persone meravigliose (i figli, il compagno, gli amici) non era facile parlare apertamente con loro di certi temi ed era normale che fosse così. Quando si è coinvolti emotivamente nei confronti di una persona si fa fatica ad accettare che se ne stia andando e fa male affrontare certi discorsi. Per questo sono convinto che questo rapporto sia stato positivo anche per lei, vista la possibilità di confrontarsi liberamente con una persona esterna su temi come la vita, la morte, la memoria, quello che resta di noi quando non ci saremo più, l’Aldilà e la religione, senza la paura di essere giudicata o incompresa o di ferire un proprio congiunto.

La maggior parte delle nostre conversazioni sono avvenute su una chat, quindi dal punto di vista della comunicazione mancavano gli aspetti paraverbali e non verbali, come le espressioni del viso, lo sguardo, il gesticolare delle mani, però questa modalità ci ha anche aiutato a non provare vergogna; se poi arrivava un momento di commozione o di disperazione, in questo modo mi sentivo meno esposto, avevo modo di pesare e scegliere con calma le parole e di nascondere i momenti di imbarazzo o di tristezza.

È difficile descrivere quello che provavo durante queste conversazioni.

Credo, nei mesi in cui ci siamo scritti, di aver attraversato le fasi del lutto descritte da Elisabeth Kubler-Ross.

In alcuni momenti non riuscivo a credere che questa persona stesse morendo e speravo che qualche miracolo potesse salvarla, oppure una parte di me si dimenticava di questa condizione e passavamo ore a parlare del più e del meno, negando il fatto che non c’era nulla che si potesse fare per salvarla. Altre volte provavo rabbia, mi sembrava ingiusto che una persona dovesse soffrire così tanto fisicamente e psicologicamente, che dovesse sopportare cure terribili e vivere gli ultimi giorni della propria esistenza in un modo così duro, sapendo che i suoi cari stavano soffrendo e avrebbero sofferto ulteriormente per lei. Stavo attento però a non esprimerla perché sicuramente anche lei in alcuni momenti provava questo senso di ingiustizia e non volevo alimentarlo.

Ho provato a pregare per lei, ma in questa fase di contrattazione con Dio non sapevo nemmeno io cosa chiedere, mi trovavo combattuto, mi rendevo conto che non poteva guarire e tornare ad una vita normale e non sapevo cosa fosse meglio: continuare a vivere lottando e soffrendo o morire in modo dignitoso e raggiungere finalmente la pace?

Ad un certo punto mi sono rassegnato, mi sentivo triste ma non volevo condividere questo sentimento, non volevo appesantirla e rattristarla, cercavo di incoraggiarla e di farla sorridere, mi sforzavo di fare battute e di tenere un tono allegro nella conversazione, non volevo che percepisse il mio malessere e che si sentisse in colpa per questo.

Dopo questa fase di depressione ho cominciato ad accettare quello che stava accadendo, a cercare di capire quale lezione si nascondeva dietro questo rapporto, a godermi le nostre discussioni sull’Aldilà e sugli affetti, oppure le battute su come sarebbe stato il suo funerale. Insomma, ho cominciato a cercare di trarre il meglio da questa situazione.

A volte ero indeciso se scriverle o no.

Da un lato volevo esserle d’aiuto e di conforto, dall’altro non sapevo come stava, se la disturbavo, se aveva voglia di darmi retta, se stavo facendo bene o no. Non ho mai avuto la sensazione che mi rispondesse per cortesia o perché le dispiaceva non rispondermi, però viste le circostanze a volte ho avuto questo dubbio: le chiedo come sta o meglio lasciarla stare? E se lo chiedo mi risponderà sinceramente o mi darà retta per non deludermi?  Credo sia normale avere questi dubbi quando si ha a che fare con una persona che soffre e a cui rimane poco da vivere, ma poi mi dicevo che con i dubbi non si combina nulla e che è meglio rischiare di sbagliare piuttosto che rimpiangere di non aver scritto quel messaggio o aver fatto quella domanda. Nell’ultimo periodo ci sentivamo meno, forse era molto stanca, forse aveva bisogno di stare da sola, di stare tranquilla, di dosare le energie.

La sua dipartita mi ha colto un po’ di sorpresa, pensavo mi desse un po’ di preavviso, che mi avesse avvertito che le rimanevano solo pochi giorni, forse non lo sapeva, forse la situazione è precipitata improvvisamente, forse se lo sentiva ma non voleva preoccuparmi, forse quello che dovevamo dirci era già stato detto e andava bene così.  Anche se sapevo che sarebbe successo, è triste quando se ne va una persona che ti ha coinvolto in un’esperienza così forte riguardo la sua malattia grave che non lascia scampo, le sue volontà riguardo al funerale, la sua visione della vita e della morte.

Mi sono chiesto se avevo espresso i pensieri giusti al momento giusto, se avevo fatto bene ad impicciarmi di argomenti così personali, se le avevo rubato del tempo o se il tempo che mi aveva dedicato era ben speso. Dopo i dubbi iniziali, ho avuto bisogno di un po’ di tempo per elaborare ciò che era successo e giungere a delle conclusioni. La lezione più importante che ho imparato da questa esperienza è che parlare con una persona vicina alla morte può essere una situazione “normale”, si può ridere e scherzare e dopo cinque minuti esprimere pensieri bellissimi sulla vita o le proprie paure sulla morte. Chi sta per andarsene spesso capisce quanto siano preziosi il tempo, i sentimenti e i rapporti umani e vive i giorni che rimangono con grande consapevolezza.

Ora mi sento stupido ad aver avuto paura all’inizio nell’affrontare questi temi con quella persona, mi rendo conto di quanto fossero infondate le mie paranoie.

So che esistono persone molto preparate nell’accompagnamento alla morte e che lo fanno per mestiere e non è assolutamente mia intenzione sostituirmi a queste straordinarie figure professionali. Come ho già detto mi sono trovato quasi involontariamente in quel ruolo, spinto in quella circostanza dalla volontà di aiutare una persona e dalla curiosità di capire come si vive in quella condizione. Quindi non so se sono stato bravo o no, se ho fatto “le cose giuste” da un punto di vista accademico, sono sicuro però che questa donna ha apprezzato il mio supporto, la mia buona volontà e la mia vicinanza. Alla fine basta capire com’è l’umore della persona in quel momento, capire se ha voglia di parlare e capire dove portare la conversazione.

Certamente ho avuto il privilegio di accompagnare una persona straordinaria, intelligente, colta e incredibilmente serena anche nei momenti peggiori e questo mi ha aiutato molto nel prendere coraggio e conversare a tutto tondo con lei. Se non fossi riuscito a rompere la barriera immaginaria che avevo creato nella mia testa e non le avessi chiesto se le andava di parlare di come stava vivendo la sua condizione, mi sarei perso una grande lezione sulla vita e un bellissimo esempio di “umanità”. L’Enciclopedia Treccani definisce questa parola in questo modo: “Sentimento di solidarietà umana, di comprensione e di indulgenza verso gli altri uomini; [..] di atti che rivelano tali sentimenti”

Ecco, parlare con una persona vicina alla morte, darle la possibilità di esprimersi e di confrontarsi, rappresenta uno dei migliori emblemi di questo concetto nella mia vita.

Ho dovuto poi abituarmi alla sua assenza, mi sono trovato diverse volte dopo la sua morte con lo smartphone in mano pronto a mandarle un messaggio. Sapevo che non l’avrebbe letto e non avrei avuto risposta e questo mi rendeva triste, ma questa malinconia mi faceva anche sorridere pensando alle bellissime conversazioni che abbiamo avuto. Certamente creare un legame con una persona in fin di vita può essere doloroso, ma sono sicuro che ciò che si riceve è maggiore di ciò che si perde e che quindi vale la pena prendere coraggio e chiedere:

“come ti senti?

Ti va di parlare?”

L’autore

Andrea Cavallaro, da venti anni lavora nell’impresa funebre di famiglia coinvolgendo diversi esperti in elaborazione del lutto per organizzare incontri gratuiti con le famiglie dei dolenti e per farsi aiutare a migliorare vari aspetti del proprio mestiere. Da queste esperienza è nato il libro “Quel che resta è l’amore”, che aiuta in modo semplice le persone ad affrontare le dinamiche del lutto. Continua a coinvolgere professionisti provenienti da diversi ambiti per offrire ai dolenti molteplici approcci, in modo che ognuno possa trovare quello più adatto, e a scrivere articoli sul lutto nel proprio blog www.restalamore.it

 

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