Linee guida per l’assistenza spirituale ai malati

di Guido Miccinesi

 

1.2 Linee guida olandesi: una prospettiva europea. Un prototipo per l’Europa?
Il 2 maggio 2013 è stata approvata la versione 1.0 delle linee guida per l’assistenza spirituale ai malati, scritte dal gruppo di lavoro Agorà, olandese, tra il 2005 e il 2010/11.
La traduzione in inglese del documento si è avvalsa del concorso, tra gli altri , dei due chairs della task force dell’ EAPC (European Association for Palliative Care) per la spiritualità in cure palliative (J. van de Geer, health care chaplain, Medical Center Leeuwarden, e C. Leget, professor of ethics of care and spiritual counseling, University of Humanistic Studies, Utrecht). Il documento si fonda sull’esperienza fatta con i malati oncologici ma cerca di prefigurare, come si è fatto spesso in cure palliative, un modello assistenziale non condizionato da un determinato stato patologico.
L’impianto è saldamente empirico: ci si accorda sui termini, si riprendono i dati epidemiologici che mostrano la prevalenza molto alta di ‘bisogni spirituali’ tra i malati con malattia grave, e si descrive una possibile fenomenologia dei bisogni spirituali, per arrivare a una organizzazione su più livelli dell’assistenza ‘spirituale’, determinata da:
A) situazioni in cui l’ascolto degli aspetti spirituali della esperienza di malattia da parte degli infermieri/medici è sufficiente;
B) situazioni nelle quali i malati/familiari hanno bisogno di uno specifico counselling su questi temi;
C) situazioni di crisi esistenziale, che richiedono un vero e proprio intervento di crisi, effettuato da un assistente spirituale religioso, o da un assistente sociale o psicologo adeguatamente formato.
Le linee guida olandesi partono dalle domande poste da molti di quelli cui capita di avere una malattia seria:
Cosa ho fatto per meritarmi questo?
Perché devo soffrire?
Perché dovrei continuare a vivere, magari diventando un peso per gli altri?
Queste domande sono definite ‘questioni vitali’, od anche ‘spirituali’ o ‘esistenziali’. La risposta possibile è nella life stance (posizione di fronte alla vita) di ciascuno.

1.2.1 Cosa è lo ‘spirituale’ per le linee guida olandesi
Lo spirituale è raffigurato nella parte interna del diagramma. Anche se è immaginato come ‘interiore’ , non si riduce al mondo interno degli psicologi ma va concepito in relazione anche con quello, così come col dolore o il piacere del corpo, il respiro dei
polmoni, la comunità che ci accoglie o ci rifiuta … Un aspetto nascosto e sorgivo della vita.
Edith Stein diceva che andando a cercare questo luogo, che sarebbe l’anima, quella si nascondeva1 ; specie, avrebbe aggiunto Robert Musil nell’ Uomo senza qualità2, se sentiva parlare di numeri.
Vita religiosa, vita di fede, vita ispirata a visioni del mondo ‘nuove’, ricerca e esperienza di significato … sono così tanti e diversi i significati con cui il termine spiritualità è usato che tutto torna nel vago quando si cerca di definirlo. Gli estensori della linea guida affrontano questo primo problema proponendo una definizione ‘operativa’:

Spirituality is the dynamic dimension of human life that relates to the way person (individual and community) experience, express and/or seek meaning, purpose and
transcendence, and the way they connect to the moment, to self, to others, to nature, to the significant and/or the sacred. The spiritual field is multidimensional: 1) Existential challenges (e.g. questions concerning identity, meaning, suffering and death, guilt and shame, reconciliation and forgiveness, freedom and responsibility, hope and despair, love and joy).
2) Value based considerations and attitudes (what is most important for
each person, such as relations to oneself, family, friends, work, things nature, art and culture, ethics and morals, and life itself).
3) Religious considerations and foundation (faith, beliefs and practices, the relationship with God or the ultimate).”3
La scelta di non tradurre in italiano la definizione operativa proposta dal documento olandese (già a sua volta tradotto in inglese) è motivata dal fatto che bisognerebbe soppesare ogni parola ed avere un confronto di consenso prima di licenziare una tale traduzione (proprio come faticosamente è avvenuto per tradurre in inglese il documento originale).

1.2.2 Non solo ascolto : il ‘refraining mode’
Avere un focus, una definizione di spiritualità, dovrebbe rendere più facile prestare attenzione, fin dalle fasi precoci di malattia, a temi quali la ricerca di senso, lo sconvolgimento delle prospettive temporali indotto dalla diagnosi di malattia grave, la perdita di controllo, l’isolamento, la perdita di speranza, la necessità di fare il bilancio di una vita, le credenze religiose.
Non possiamo aspettarci che le persone si esprimano sempre in maniera definita su questi aspetti della loro vita, che in quanto sorgivi riguardano tutta la loro vita e sono difficilmente isolabili. Né che i curanti li riconoscano facilmente, non essendo per lo più posti in maniera esplicita.
Non ha senso allora aspettare una richiesta circostanziata per occuparsi di questi temi: bisogna come clinici sviluppare una nuova sensibilità. Per lo più il significato spirituale di una situazione, o di un discorso, è intrecciato con altri livelli di significato, altrettanto veri, relativi al corpo, al mondo interiore, agli aspetti sociali. Per questo la capacità di ascolto, di osservazione e di comunicazione sono i requisiti comuni richiesti dalle linee guida per ogni ‘intervento spirituale’. La compresenza dei quattro livelli di significato è mostrata nel documento attraverso degli esempi clinici. E’ una medicina ‘lenta’: ci vuole tempo per letture così complesse.
Ma non solo ci vuole tempo per entrare nel mondo spirituale del malato o dei suoi familiari: bisogna poi aspettare che la soluzione, la risposta di senso, venga da loro stessi. Gli psicologi in questo sono maestri, i cappellani ospedalieri stanno assorbendo velocemente nei loro curricula formativi questi aspetti; i medici e gli infermieri possono trovarsi ancora oggi più a disagio: essi infatti sono abituati a risolvere i problemi presto e bene, se possibile, e si trovano a disagio con modalità “slow” (anche se “slow” andrebbe tradotto con “riflessivo” più che con “lento”). Anche il volontariato ha bisogno di formazione per arrivare a valorizzare questo aspetto della presenza accanto al malato. Infatti è proprio la presenza che diventa importante per un accompagnamento spirituale. Le linee guida olandesi chiamano questa capacità clinica ‘refraining mode’, astensione dalla urgenza di rispondere, di risolvere, di cancellare la sofferenza.

1.2.3 Ultimi passaggi del cammino spirituale: la malattia potenzialmente mortale
Dalla subitanea consapevolezza della finitezza alla temporanea perdita di presa sulla
vita, fino alla ricerca di senso – più o meno consapevole – e al lavoro del lutto di freudiana memoria; per ultimo, quando accade, l’inattesa esperienza di essere parte di qualcosa di più grande (‘experience of connectedeness’; esperienza di senso dicono gli Autori nella versione olandese). Tutto questo fa parte di un ideale percorso spirituale indotto dalla minaccia di una malattia potenzialmente mortale secondo gli estensori delle linee guida olandesi: “when the search for meaning and the experience of connectedness are again integrated, new constructs are created that allow for the reality of death” 4 (quando la ricerca di significato e l’esperienza di senso sono di nuovo integrate, vengono a crearsi nuovi costrutti che consentono la realtà della morte). L’assistenza spirituale tende idealmente a questo obiettivo, usualmente attraverso l’ascolto e il ‘refraining mode’. Tutte le ‘life stance’ e le diverse comprensioni della trascendenza sono sussunte in questo modello di comprensione e di organizzazione della assistenza spirituale. Ogni gesto di cura, anche minimale, diventa significativo in questa prospettiva.

1.2.4 Counselling e interventi di crisi
Alcune persone richiedono solo una assistenza ordinaria, ma sensibile agli aspetti spirituali, per progredire nel loro percorso spirituale.
Altre chiedono una condivisione maggiore, una dedizione specifica, uno specifico counselling.
Altre volte ancora il percorso è come bloccato, la minaccia di morte rimandata nel subconscio. Possono volerci settimane o mesi perché affiori nuovamente alla coscienza. Finché la negazione è la modalità con cui il malato affronta la minaccia di morte non è possibile intervenire in modo diretto.
Alcune persone, infine, sembrano non interessate da alcuna lotta spirituale, eppure non negano la minaccia di morte né la propria finitezza. Semplicemente sono già in qualche modo pronte ad affrontarle, per quello che hanno vissuto prima della malattia. Ad esempio gli anziani, persone con gravi storie di perdita, persone realiste e pragmatiche, persone con un senso della vita molto ben delineato e aperto alla propria finitezza.

A parte l’offerta di assistenza ordinaria e di opportunità di counselling, l’aspetto maggiormente sottolineato dalle linee guida è quello degli interventi di crisi. Il confronto subitaneo con la propria finitezza può innescare stati di ansia, finanche di panico, o di depressione. Si parla allora di crisi esistenziale. Per esser pratici, ma rischiando un po’ di circolarità, gli Autori chiamano crisi quelle situazioni che si ritiene abbiano bisogno di un intervento … di crisi.
Non sempre si assiste a una lotta spirituale intensa, a volte la crisi si manifesta come
ostinata ricerca di tornare al livello di benessere e funzionalità precedenti una malattia non guaribile, o al contrario come l’attesa di ogni peggior scenario possibile per il futuro; altre volte predomina la difficoltà a lasciare i propri cari, magari intrisa di colpa per situazioni non risolte, oppure l’impossibilità di dare un senso a quello che sta accadendo. Si tratta di situazioni che durano settimane e possono esitare in stati di ansia non più controllabili, in umore depresso e desiderio di morire.
Se si colgono i segni di una crisi esistenziale, quali scoraggiamento, rabbia, improvviso cambiamento nel modo di porsi, chiusura alle relazioni che prima erano vitali, e sintomi corporei che si possono leggere come somatizzazioni può valere la pena di porre domande aperte sugli aspetti spirituali.
Gli Autori affrontano anche il problema del desiderio di morire, e della richiesta di un aiuto a morire, che nel loro contesto culturale sono a certe condizioni accettati ed esauditi, per mettere in guardia dal desiderio di morire ‘disperato’: “The patient says in a manner of despair that he wants to die. That despair is distinguishable from situations in which a patient states that he has lived long enough and expresses acceptance”5 (il paziente riferisce con disperazione egli che desidera morire. Questa disperazione è distinguibile da situazioni in cui un paziente asserisce invece che egli è vissuto abbastanza ed esprime accettazione). Se non si coglie nessun segno di crisi, eppure la situazione clinica è drammatica, può essere di aiuto chiedere semplicemente ‘Lei sembra essere tranquillo e rilassato. E’ così che si sente?’ Così si comunica di essere disponibili a parlare di queste cose, e sul sì o no espresso dal paziente si può impostare un incontro.

1.2.5 Ruolo dei cappellani ospedalieri e di altri professionisti
Tradizionalmente l’assistenza spirituale era compito dei soli cappellani ospedalieri. Ma oggi? Il documento riconosce che training specifici come quelli compiuti dai cappellani ospedalieri dovrebbero garantire una competenza maggiore nel cogliere i bisogni spirituali, specie in situazioni di counselling e di crisi. Si riconosce ad essi una
maggiore capacità ermeneutica in questo campo. Essi rappresentano inoltre, in certo senso, la dimensione stessa del senso della vita. Essendosi formati dentro specifiche tradizioni ed essendo ad esse tuttora connessi sono anche rappresentanti di qualcosa di più vasto, di una comunità religiosa, o di Dio. Sta poi alla persona malata decidere se vuole incontrare un rappresentante della propria o di altre visioni e tradizioni. Di per sé l’incontro è da persona a persona, e il focus è comunque la persona malata.
Una questione che il documento non affronta, ma che è presentata in altre sedi, è quella della liceità o meno di rappresentare apertamente la propria appartenenza, religiosa o umanistica. Il Vescovo di Utrecht, W.J. Eijk, ha recentemente definito ‘inquietante’ la situazione dei Paesi Bassi nei quali la maggior parte delle persone che curano la pastorale negli ospedali, per lo più operatori laici nominati dal vescovo diocesano, sono “costretti dai manager a nascondere il loro contributo specificamente cristiano-cattolico dietro la maschera della professionalità”6.
Il documento si occupa anche della partecipazione all’assistenza spirituale di psicologi e assistenti sociali. La prospettiva di questi professionisti può essere insostituibile quando la dimensione psicologica e quella sociale sono profondamente coinvolte, ad esempio in certe situazioni di crisi esistenziale. D’altronde tutto il documento propone un approccio multidisciplinare all’assistenza spirituale, centrato su quella ordinaria, resa da medici e infermieri (i volontari sono, in questo documento, lasciati un po’ in ombra) più che sugli interventi degli specialisti.

1.2.6 Impara l’arte
Sono interessanti infine due aspetti generali, rivolti a tutto il personale coinvolto, sottolineati da queste linee guida:
1) Tutto parte dall’attenzione alla dimensione spirituale: se gli operatori e i volontari dei luoghi di cura dedicati ai malati più gravi non sviluppano una simile attenzione, tutto il resto non è realizzabile. L’ascolto della dimensione spirituale è difficile, si tratta di una dimensione intrecciata con le altre cui tendenzialmente l’esperienza di malattia è oggi ridotta (bio-psico-sociali) e che è per sua natura non identificabile se non nell’intreccio con queste stesse dimensioni. Non basta entrare in contatto con le proprie emozioni. Bisogna aprirsi personalmente a questa dimensione del reale.
2) Bisogna imparare, anche nell’ascolto, ad essere leggeri. Si tratta di un’arte: l’arte di conversare di argomenti molto intensi cogliendo l’attimo, mentre la persona malata mangia o si lava ad esempio, o perfino mentre si scherza con lei. Questa leggerezza dà luce e, nelle fasi terminali di malattia, fa breccia nella gravità e intensità del processo di malattia. Il documento definisce questa arte ‘diluted severity’ (gravità diluita).

 

Riferimenti bibliografici:
1 Cf. E. Stein, La struttura della persona umana. Corso di antropologia filosofica (orig. 1932-1933),
Città Nuova, Roma 2013
2 Cf. R. Musil, L’uomo senza qualità (orig. 1930-1933), Einaudi, Torino 2005
3 Cf. Agora Spiritual Care Guideline working group, op. cit., 3
4 Ibidem, 9
5 Ibidem, 12
6 Cf. W.J. Eijk, Vescovo di Utrecht, in: ARIS Sanità, 25 (2013), 23

Fonte: Guido Miccinesi, La cura spirituale del morente, tesi di laurea magistrale in Scienze Religiose, Istituto Superiore di Scienze Religiose B. Ippolito Galantini – Firenze, 4 maggio 2016

Link per l’intero documento:
http://www.appc-toscana.it/attachments/article/54/tesi%204%20maggio%202016-miccinesi.pdf

L’autore

Guido Miccinesi, testo tratto da: La cura spirituale del morente, tesi di laurea magistrale in Scienze Religiose, Istituto Superiore di Scienze Religiose B. Ippolito Galantini – Firenze, 4 maggio 2016

Il documento olandese in inglese:

Spiritual care