IL MEDICO CATTOLICO
di Maria Nincheri Kunz
Oggi si arriva alla morte, rispetto agli anni 60, più tardi di almeno 20 anni, e le donne
sono più longeve degli uomini con una speranza di vita più lunga di almeno 5 anni,
anche se ci arrivano gravate da malattie croniche, più degli uomini.
Quindi si arriva alla morte, con l’aiuto della medicina, anche affetti da malattie gravi
che una volta avrebbero portato al decesso molto prima e, in alcuni casi, oggi, dopo
anni di sofferenze fisiche ( artrosi, tumori, disturbi del visus, deficit da ictus o
insufficienza respiratorie di vario tipo, diabete e sue complicanze, etc) . Vi sono tra le
croniche, anche malattie importanti che colpiscono la psiche, come l’Alzheimer che
sono destruenti per la persona. Per tutti questi soggetti che sono particolarmente
fragili psichicamente, fisicamente e socialmente, quando arrivano in prossimità della
morte, il medico cattolico deve lottare contro ogni tipo di maltrattamento, abbandono
o accanimento terapeutico.
Alla fine della vita la maggior parte delle persone coscienti sono rivolte a valori
religiosi, anche per l’educazione ricevuta nella società in cui viviamo, di tradizioni
religiose cristiane, ma tutti in realtà chiedono comprensione e vicinanza. Purtroppo la
società di oggi considera persona solo chi è capace di autodeterminarsi e così si
tagliano fuori intere categorie umane: Engelhardt non considera persona coloro che
hanno perso la coscienza, i feti, i bambini, le persone ritardate mentalmente, tanto
meno gli embrioni o i neonati. E’ un’antropologia sbagliata per la religione Cattolica
che si basa su una Bioetica ontologica personalistica, secondo la quale ognuno ha
dignità di persona, non perché gliela diamo noi, ma in quanto essere umano dal
concepimento alla morte naturale.
Purtroppo la biopolitica costruisce la città dell’uomo solo per i sani, gli efficienti, i
giovani, i belli, i palestrati per cui, se non si hanno certi parametri si arriva a
desiderare la morte e si affaccia la richiesta di eutanasia che per alcuni è diritto e non
solo per i malati terminali, ma ormai, come in Olanda e Svizzera, anche per vedove
inconsolabili, 70enni senza più alcuna ragione di vita, per inguaribili ( non incurabili)
, etc. L’olandese Jaap Schuurmans, che con lo psichiatra B. Chabot, è stato teorico
della legge sull’eutanasia e il suicidio assistito, dopo alcuni decenni afferma che la
deriva eutanasica si poteva evitare con le cure palliative. Non si deve arrivare alla
sofferenza insostenibile, ci sono tanti mezzi per alleviare il dolore e aiutare il paziente
a morire senza dolore né angoscia: sono le cure palliative con la terapia
farmacologica, psicologica, assistenziale, e importante è l’intervento preventivo,
globale, sul piano emotivo, a livello umano e familiare, in cui l’Amore è la
componente fondamentale.
Noi sottolineiamo che nella sofferenza il “farmaco più efficace” possono essere
coloro che stanno vicino alla persona morente: ognuno dovrebbe ha la possibilità di
morire in casa propria, con una buona assistenza domiciliare. L’alternativa non
dovrebbe essere finire in una stanzetta d’ospedale circondato dalle migliori
tecnologie, ma senza familiari vicino, in solitudine, senza poter lasciare un messaggio
o dei ricordi alle persone care. Mettendo in atto le cure palliative, l’eutanasia
semplicemente non serve e quindi neppure una legge che la regolamenti, in quanto
tutto è già contemplato dalla stessa legge italiana e dai Codici deontologici dei
medici.
E quando viene chiesto a Schuurmans: “ Cos’è per lei l’eutanasia?”, egli risponde “È
una sconfitta, un angelo (il medico) che arriva e invece di curarti ti strangola”.
Quindi si vorrebbe fare diventare un diritto quello che è un delitto legalizzandolo (
come l’aborto) affermando che in realtà l’eutanasia viene praticata in clandestinità o
ipocritamente perché sono in aumento: allora si devono legalizzare anche i furti, le
violenze sessuali, la pedofilia, il mobbing o lo sfruttamento dei minori? E’ sempre il
solito discorso dei “ricchi che se lo possono permettere”: dunque l’utero surrogato
che i ricchi si permettono dovrebbe essere legalizzato per tutti, anche se è una pratica
abominevole?
Già Aristotele nel 322 a.C diceva che “Ognuno di noi ha responsabilità verso il
prossimo e la società, che il suicidio e l’eutanasia ci impediscono di onorare”.
Ippocrate, padre della Medicina, sosteneva la difesa della vita come bene primario.
Per Aristotele, Pitagora, Platone, Seneca, Cicerone nessun uomo può arrogarsi il
diritto di uccidere un altro uomo e Bernard affermava che è la morale naturale ci dice
di non uccidere.
Purtroppo nell’epoca moderna c’è stato chi (Hitler) affermava che “Se non c’è più
forza per combattere per la propria salute, il diritto a vivere viene meno” e a
Rauschning presidente del senato a Danzica diceva: “ La pietà conosce una sola
azione: lasciar morire i malati “
Ma se esistesse un diritto a morire, perché solo ai terminali? Allora anche ai depressi,
agli handicappati, ai malati di tumore, a chiunque non abbia più voglia di vivere: e gli
psichiatri e psicologi che ci stanno a fare? Perchè il telone dei vigili del fuoco? Ma
allora perché al Pronto Soccorso dobbiamo soccorrere i “Tentati suicidi” e attuare un
trattamento sanitario obbligatorio? Perchè l’obbligo del casco e della cintura in auto?
La cultura della morte vorrebbe “l’autorizzazione all’eliminazione delle vite non più
degne di essere vissute” come teorizzavano Hoche e Binding nella Germania del
1920, perché creano “sofferenze personali, sofferenze dei parenti, sofferenze sociali,
sofferenze economiche”: ma allora questa è l’egemonia dei forti sui deboli,
l’egemonia dei sani sui malati! In realtà la qualità di vita deve esser riferita non al
benessere inteso come godibilità, efficienza e produttivita’, ma al primo bene che è la
vita stessa (Convenzione Europea Diritti dell’Uomo-art 2)
L’eutanasia frena il progresso scientifico e la ricerca, sull’invecchiamento, sulla
degenerazione cerebrale, sul cancro, sulle terapie palliative: per curare la malattia, si
uccide il malato: stesso trattamento con l’embrione.
Una volta noi medici facevamo il giuramento d’Ippocrate che recita: “Giuro…..che
non somministrerò ad alcuno, neppure se richiesto, un farmaco mortale, né suggerirò
un tale consiglio; similmente a nessuna donna io darò un medicinale abortivo”. Il
nostro Codice penale ( art 579 e 580) punisce sia l’Omicidio del consenziente che
l’Istigazione al suicidio e punisce anche l’Omissione di soccorso cioè, se un paziente
vuole la morte abbiamo l’obbligo di salvarlo fisicamente ma anche psicologicamente
se depresso angosciato e deciso a farla finita. Anche il Codice civile dice che “gli
atti di disposizione del proprio corpo sono vietati quando cagionino una diminuzione
permanente della integrità fisica” .
Per il Codice Deontologico, il medico (art. 17 CD), anche su richiesta del paziente,
non deve effettuare atti finalizzati a provocare la morte.
I problemi del fine vita riguardano anche il dilemma della morte di embrioni, neonati
pretermine, bambini gravemente ammalati, persone affette da malattie gravi e
inguaribili (non incurabili), da Alzheimer, da Parkinson, da SLA, soggetti in stati
vegetativi, oppure in stati gravi o terminali da insufficienza cardiaca, respiratoria,
neurologica, renale, epatica o da insufficienza multiorgano. La persona in questi
momenti ha sofferenza fisica, psicologica( ansia, paura o aggressività, depressione),
sociale (ormai ha perso i ruoli nella famiglia e nella società) e spirituale (crisi di quei
valori religiosi e/ laici che sono stati alla base del suo comportamento e scelte di
vita).
In fondo però il giudizio finale ( curare o non curare più) è poi sempre medico, cioè
in base all’appropriatezza clinica e al giudizio di proporzionalità, evitando
l’accanimento terapeutico che si prospetta quando il trattamento è futile,
straordinario, sproporzionato, oneroso e rischioso ( art 16 CD: “non intraprende
né insiste in procedure diagnostiche e interventi terapeutici clinicamente inappropriati
ed eticamente non proporzionati).
Arrivano allora le cure palliative appunto quando si decide che non sono più
appropriate le terapie, né necessarie, ne utili, anzi gravose e onerose, desistendo
quindi da trattamenti inutilmente invasivi che servirebbero solo ad un
prolungamento precario e penoso della vita, in soggetti terminali. E scopo delle
cure palliative è appunto il controllo del dolore e degli altri sintomi comprese le
problematiche psicologiche, familiari, sociali e soprattutto spirituali.
Bisogna curare fino alla morte (art 23 CD) anche i soggetti inguaribili, soprattutto i
fragili e abbandonati e non abbandonarli senza assistenza adeguata.
Al Centro tumori di Milano in 25 anni, dei 40000 ammalati di tumore, solo 4 avevano
chiesto l’eutanasia e poi tre di questi ci avevano ripensato, assistiti psicologicamente
e spiritualmente. E se il dolore fisico è messo a tacere o non c’è ( come nel caso di
tumori ematologici) si cura il dolore morale che si affronta con l’umanità di coloro
che assistono, con la condivisione dei sentimenti, con la vicinanza della famiglia, con
la ricerca di dare un senso alla morte: coloro che hanno la Fede, sono
“avvantaggiati” e in questo caso anche il medico che li assiste; ma se abbiamo di
fronte un non credente, dobbiamo “ osare” parlandogli dell’ al di là, perché tutti
possano vedere una luce alla fine della loro vita.
Quindi alla “fine” si prospettano le cure palliative che “affermano il valore della vita
e considerano il morire come un evento naturale, non accelerano né ritardano la
morte, ma provvedono al sollievo del dolore e degli altri sintomi, integrano nella cura
gli aspetti psicologici e spirituali, aiutano a vivere in maniera attiva fino alla morte e
sostengono la famiglia anche durante la fase del lutto” .Esse coinvolgono molte
figure professionali oltre al medico, l’infermiere, il fisioterapista, lo psicologo, ma
soprattutto il religioso.
E’ chiaro che se un paziente ha la nutrizione e l’idratazione artificiale, nelle ultime
ore di vita va valutato che essa non sia un accanimento terapeutico se non è assorbita
o crea troppo disagio; in ogni caso l’idratazione è consigliata fino alla fine, ed alcuni
parlano anche di via ipodermica quando non vi fossero più vie venose accessibili, per
non creare troppa sofferenza con la disidratazione, tenendo presente che si può
sempre associare una sedazione che può non essere necessariamente profonda. Il
medico cattolico, come ogni medico dovrebbe fare, si oppone a trattamenti
considerati sproporzionati e inadeguati soprattutto in soggetti vulnerabili e fragili,
perché voluti magari dal tutore o il rappresentante legale del soggetto: in tali casi noi
medici possiamo far ricorso all’autorità competente ( art 39 CD).
A volte scelte estreme sono dettate da sconforto, solitudine, abbandono, depressione,
perdita del senso della vita, che debbono trovare risposta soprattutto nella vicinanza
spirituale che deve portare la persona “in alto” dove la soglia del dolore fisico o
morale si innalza e la sofferenza sminuisce o scompare.
Ecco la Spiritualità, in cui appunto l’anima si innalza più facilmente, in un ambiente
favorevole come la natura (mare, montagna, parchi)o come l’arte (musica, danza,
pittura)e in particolare come la religione, negli atti di culto, nella preghiera, nella
meditazione e nelle relazioni che portano alla vicinanza degli altri ma
soprattutto nell’intimità con DIO .
Ad Harvard nei programmi di laurea sono stati introdotti corsi di “ Religione,
spiritualità e salute” perché si è dimostrato “scientificamente” che la Fede e la
preghiera, hanno un impatto positivo sulla salute in genere, in particolare nel soggetto
morente soprattutto se sofferente. La fede unitamente allo strumento prezioso
della preghiera illumina e coordina l’interazione tra i vari parametri presenti
nella vita di ciascun uomo in una visione metafisica che ingloba tutto l’essere.
Quando la terapia ( soprattutto se invasiva e intensiva ) non procura giovamento al
paziente, il processo di cura deve essere indirizzato verso l’attivazione o il
potenziamento delle cure palliative simultanee, contro impropri ricoveri in terapia
intensiva. I passaggi dalla casa all’ospedale molte volte vorrebbero prolungare la
sopravvivenza, indipendentemente dalla qualità di vita, con inevitabili ricoveri
impropri per giudizio prognostico e per spreco di risorse economiche. Il medico può
proporre la sedazione primaria, il cui scopo è abbassare il livello di coscienza, che
può essere anche effetto secondario di farmaci, oppure intermittente che permette la
presenza di periodi di coscienza e leggera che consente per esempio di comunicare,
fino ad attuare la sedazione palliativa profonda cioè la riduzione intenzionale della
vigilanza con mezzi farmacologici fino alla completa perdita della coscienza, con lo
scopo di ridurre o abolire la percezione di un sintomo, altrimenti intollerabile per il
paziente, nonostante siano stati messi in atto tutti i provvedimenti.
In questi momenti cruciali per il morente il medico cattolico deve avere equilibrio,
sensibilita’, moderazione, salda scienza, formata coscienza, guardando sempre alla
dignita’ e qualita’ di vita della persona soprattutto se incapace, o solo, o fragile, ma
soprattutto non deve dimenticare di parlare al morente dell’Incontro che lo/a aspetta
col Creatore nostro Padre.
Ci deve essere l’indipendenza del medico che deve agire in scienza e coscienza: ecco
perché l’ Obiezione di Coscienza è importante per l’etica del sanitario, ma va
salvaguardata anche la coscienza professionale che deve permettergli di attuare tutte
le terapie all’avanguardia, possibili e proporzionate (art 22 CD: la professione medica
deve dare garanzie di professionalità, solidarietà e di rispetto di valori umani.
Quando ormai non c’è più niente da fare, senza accanimento, al quale facilmente
porta la medicina di oggi dettata com’è dalla tecnologia, se vi è sofferenza, il primo
imperativo è lenire la sofferenza. E nella teoria del doppio effetto si parla di “
legittimità di atti terapeutici il cui effetto intenzionale è benefico, anche se dovessero
comportare la riduzione della vita, purché l’atto sia compiuto solo per controllare il
sintomo e la gravità del sintomo sia proporzionale agli atti intrapresi”. Noi medici
cattolici seguiamo quello che Pio XII disse al congresso degli anestesisti del 1956:
“la soppressione del dolore e della coscienza per mezzo di narcotici (quando è
richiesta da una indicazione medica) è permessa dalla religione e dalla morale al
medico ed al paziente ( all’avvicinarsi della morte e se si prevede che questo
abbrevierà la vita)”.
In base al consenso dissenso, il medico deve essere fedele alla sua posizione etica
soprattutto per terapie proporzionate e ordinarie ( art 16 CD) e in ogni caso non deve
aiutare a morire ma aiutare nel morire (art 17 CD) . Nella dichiarazione di
Oviedo art. 9 (ratificata in Italia nel 2001) si legge che vanno presi in
considerazione i desideri (wishes) precedentemente espressi del paziente e che
saranno tenuti in considerazione, ma al cap. 62 si chiarisce che non necessariamente
debbano essere seguiti ( vd anche art 22 CD)Tanto più che (Corte di cassazione
585/2001) “il pericolo grave e attuale per la vita del paziente configura lo stato di
necessità” E quindi il medico deve salvaguardare la vita malgrado il dissenso del
paziente.( art 8 CD)
Accennando alle DAT, siamo d’accordo con Rene Girard antropologo che ”la
convinzione che le direttive siano spontanee e individuali è la più cara di tutte le
illusioni” e che il ruolo del medico nel favorire la richiesta eutanasica sarebbe in
realtà un regresso scientifico. Inoltre le DAT sono per loro natura generiche e
indeterminate e, premesso che una volta espresse possono diventare un cappio al
collo per il paziente ( ma una liberazione dal punto di vista legale per il medico),
dobbiamo dire che un trattamento medico si può interrompere sempre, un sostegno
vitale no.
Dall’Hastings Center in USA dove il “living will” è in atto ormai da 4 decenni, si
parla di fallimento : perché il testamento biologico è redatto da meno di 1/5 delle
persone, nei 2/3 dei casi è irreperibile, 9/10 è di difficile interpretazione
CD = Codice Deontologico
NOTA
IL DIRITTO ALL’OBIEZIONE DI COSCIENZA È RICONOSCIUTO COME
DIRITTO FONDAMENTALE ED INVIOLABILE DELL’UOMO:
• art.18 della Dichiarazione Universale dei Diritti dell’Uomo, firmata a Parigi
il 10 dicembre 1948
• art.18 del Patto Internazionale sui Diritti Civili e Politici, adottato
dall’Assemblea Generale delle Nazioni Unite il 16 dicembre 1966, ed entrato
in vigore il 23 marzo 1976.
• art.9 della Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e
delle libertà fondamentali (CEDU)
• art.10 della Carta fondamentale dei diritti dell’Unione Europea. Quest’ultima
disposizione, in particolare, non lascia adito a dubbi di sorta. Recita, infatti, il
secondo comma dell’art.10: «Il diritto all’obiezione di coscienza è riconosciuto
secondo le leggi nazionali che ne disciplinano l’esercizio». Ed infatti l’art.9
della Legge 194/78, espressamente prevede che il personale sanitario ed
esercente le attività ausiliarie non è tenuto a prendere parte agli interventi per
l’interruzione della gravidanza «quando sollevi obiezione di coscienza, con
preventiva dichiarazione».Come pure la legge 40 / 2004
IN ITALIA LA COSTITUZIONE CON L’ART 2 DÀ DIRITTI A TUTTI, CON L’ ART.
19 LA LIBERTÀ RELIGIOSA, CON L’ART. 21 LA LIBERTÀ DI PENSIERO:
IL REFUSO DI QUESTI DÀ DIRITTO ALL’ OBIEZIONE DI COSCIENZA
L’autrice
Maria Nincheri Kunz, Ex chirurgo, Consigliere Nazionale Associazione Medici Cattolici Italiani e presidente AMCI Prato, Cofondatrice Centro Bioetica G. Beretta Molla, Vicepresidente LILT Prato, Direttivo Movimento per la Vita Prato.