LA SOGLIA

Di Lorenzo Bolzonello

La soglia. Quel ristretto spazio che separa la casa dal mondo esterno. Troppo vicina per considerarla straniera, troppo esterna per considerarla familiare. È la terra di mezzo, senza precisi confini, ma sulla quale scorre il confine stesso. È di tutti e di nessuno: vi transitano familiari, amici, conoscenti, ospiti di riguardo e, talvolta, indesiderati. Il flusso costante e indifferenziato la rende nota a tutti e, per questo, proprietà esclusiva di nessuno degli  sguardi distratti e sommari che la attraversano.

Quella di casa mia, in marmo bianco con venature scure, l’ho calpestata migliaia di volta in questi 26 anni, ma solo ora mi rendo conto che proprio in quella terra di nessuno mi sono soffermato spesso.  È lì che di solito recupero alcune cose che mi servono nel mondo esterno: le chiavi dell’auto, il portafoglio, la bottiglietta d’acqua, il caricabatteria del telefono e, soprattutto, le chiavi di casa per poter rientrare al termine della giornata.

“A che ora torni?”, “Vai piano”, “Saluta tutti” e “Fammi sapere quando arrivi” sono solo alcune delle frasi ricorrenti che pronuncia mia mamma quando sto uscendo e che ricevono una mia risposta distratta mentre mi soffermo qualche istante sulla soglia. Ciò che mi fa sorridere, però, è quando mi chiede se ho preso il cappello perché io non ne indosso uno dal tempo delle scuole elementari, ma questo sembra un dettaglio trascurabile al suo sguardo. Talvolta mi capita di anticipare le sue domande con un fugace “torno tardi, ci vediamo domani” accompagnato dal rumore della porta che si chiude dietro a me. Molto spesso è proprio in quelle occasioni che, con la porta appena chiusa alle mie spalle, mi blocco sulla soglia e mi viene subito in mente che ho dimenticato qualcosa, magari anche di importante, perciò devo ritirare fuori le chiavi (io non suono quasi mai il campanello, la ritengo una cosa che fanno gli ospiti. A casa propria, chi è di famiglia, o si apre da solo oppure gli viene aperto senza dover suonare, ma solo grazie alla familiarità con il rumore dell’auto che fa manovra in giardino.), affrettarmi a riaprire e rientrare velocemente per non fare tardi.  Quando mi capitano queste situazioni, mi rendo conto che solo nell’istante in cui chiudo la porta inizio a pensare a dove sto andando perché fino a un momento prima ogni passo percorso in casa, ogni gesto quotidiano e ripetitivo che faccio per prepararmi, lo compio automaticamente, senza rifletterci sopra, direi quasi inconsciamente.

Mi chiedo, allora, quante volte a ciascuno di noi capiti di “mettere il pilota automatico” nelle proprie giornate, quanti chilometri percorriamo, quanti gesti compiamo ogni giorno senza essere sintonizzati con noi stessi. Penso che, salvo rare occasioni particolarmente importanti, qualcuno può anche vivere un’intera esistenza in questo modo. Diviene, quindi, interessante chiedersi quale sia la funzione della soglia: insignificante lastra di transito sulla quale scorre il confine dentro/fuori? O spazio di consapevolezza tra un “prima” e un “dopo”?

Riflettendoci, gli scambi che abbiamo in quei pochi centimetri quadrati sottendono spesso un “ti voglio bene”, cos’altro potrebbe voler dire il “vai piano”, se non un desiderio di rivedersi?

E quando siamo alla soglia della morte? Anche quella, per certi versi, può essere intesa come uno spazio non molto grande, ma che costituisce l’ultima occasione per prendere consapevolezza dei passi fatti fino a quel momento e di ciò a cui si va incontro. In quel frangente si possono ancora recuperare, come sulla soglia di casa, le ultime cose necessarie per affrontare ciò che verrà dopo…naturalmente non si tratta di oggetti materiali dei quali, anzi, spesso si sente l’esigenza di liberarsi. Certamente non è possibile prendere le chiavi in vista del proprio rientro, ma ciascuno di noi sentirà l’esigenza di prendere qualcosa di diverso, di personale, a seconda della vita che si ha vissuto. Si possono cercare affetto, conforto, sicurezza, attenzione, riconoscimento, perdono, comprensione, discrezione, anonimato, serenità, pace interiore, fede ecc…

Questo piccolo spiraglio di possibilità è offerto anche a chi sta intorno al morente, anche loro possono approfittarne per essergli vicino, magari aiutandolo a recuperare ciò che sta cercando di prezioso per il suo viaggio. Mi chiedo quante volte, scegliendo parole da dire e gesti da compiere, ognuno di noi riuscirà a comunicare ciò che ha dentro mantenendo lo sguardo sull’altro? In altre parole, continueremo a chiedere “hai preso il cappello?” o porgeremo una bottiglietta d’acqua dicendo “ti voglio bene”?

Purtroppo tutto ciò dipende da quanto quel momento ci coglie alla sprovvista. Pensiamoci bene: quando accade qualche imprevisto, può capitare di dover uscire di casa rapidamente e allora non ci soffermiamo a riflettere su che cosa ci serve e nemmeno ascoltiamo ciò che ci viene detto: corriamo fuori e basta. Strada facendo ci verrà in mente tutto ciò che avremmo potuto fare, dire o ascoltare e che ci sarebbe stato utile. In una società che per lunghi decenni non ci ha abituato a riflettere sulla morte, essa ci coglierà quasi sempre alla sprovvista: non sapremo cosa dire né cosa fare per essere vicini al nostro caro e chi dovrà attraversare quella soglia, non avrà abbastanza tempo per recuperare ciò che gli serve.

Ancor più gravi sono le situazioni nelle quali, chi ha “messo il pilota automatico” nella propria vita, si rende conto di essere uscito solo quando la porta ormai è chiusa alle sue spalle. Il grande dolore di chi si trova a dover affrontare un lutto improvviso è spesso racchiuso nello spazio vuoto lasciato dall’assenza della soglia. Pochi centimetri quadrati che ospitano enormi domande di senso, sottoposte a numerose spinte per farle passare sotto l’uscio, nella speranza di avere risposta. È comprensibile e legittimo temere la morte, ma è da stolti renderla estranea auspicando una sua venuta tardiva. Sostenere il cambio di rotta che sta facendo riemergere la riflessione intorno al tema della morte nella nostra società è un primo passo necessario verso l’accettazione del destino umano e costituisce anche una risorsa indispensabile per non essere colti alla sprovvista.

Continuando la riflessione, infatti, si delinea in modo sempre più evidente come il rito costituisca un grande privilegio per coloro che restano in questo mondo. Che la morte sia giunta con o senza soglia, a prescindere da quanto il defunto sia riuscito a recuperare il necessario, il rito del commiato è un’importante opportunità concessa per comunicare al proprio caro ciò che non si è riusciti ad esprimere in precedenza. Quello che si può scoprire, allora, è che (salvo i casi in cui la salma non viene trovata) per tutti vi è una soglia subito dopo aver attraversato la porta. Quando siamo nelle camere ardenti con il feretro del nostro caro ancora aperto davanti a noi, ci troviamo innanzi a questa soglia. Così come accompagniamo alla porta tutti coloro che se ne stanno andando da casa nostra, li ringraziamo e li salutiamo in modo più formale o più sincero e affettuoso a seconda del rapporto che intercorre tra di noi, così anche nel rito salutiamo chi lascia questo mondo lasciandoci guidare dalla natura della relazione che si era instaurata. È il rito funebre, quindi, l’ultima soglia: spazio di consapevolezza tra un “prima” e un “dopo”.

L’autore

Lorenzo Bolzonello è psicologo, tanatologo e cerimoniere funebre. Ha conseguito il diploma in  “Death Studies & the End of
Life” con un progetto innovativo di casa funeraria e ha lavorato per un’impresa funebre lombarda.

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La soglia – Bolzonello