Morte e tecnologia: il discorso del “ritorno alla natura”
di Laura Tradii
Nel film satirico Il Caro Estinto (1965), Dennis Barlow si trova alle prese con il kitsch stravagante dell’industria funeraria di Los Angeles. Dopo il suicidio dello zio, gli impresari funebri del cimitero Whispering Glades lo mettono davanti a una serie di scelte per cui è completamente impreparato: la bara dovrà essere a prova d’acqua, a prova di condensa, o a prova di umidità? Ed il lumino sulla tomba dovrà essere in versione “eterna standard” o “eterna perpetua” (la differenza sta nel fatto che la prima rimane accesa solo durante le ore d’apertura del cimitero)? Dovrà funzionare a propano o butano? Fingendo di avere a cuore i desideri personali di Barlow e di suo zio, il padrone dell’impresa riesce a vendere la bara più costosa. Con interni di seta, perchè il defunto era un uomo “sensibile”.
Ne Il Caro Estinto, l’industria funeraria viene rappresentata come un sistema di sfruttamento i cui impresari approfittano dell’instabilità emotiva dei loro clienti. Il libro su cui il film si basa è ispirato al libro The American Way of Death (1963) scritto da Jessica Mitford. Con questo reportage investigativo sull’industria funeraria americana degli anni sessanta, l’autrice esplora le tecniche con cui gli impresari funebri convincevano i parenti dei defunti a pagare per servizi costosi e non necessari, persuadendoli che la cifra che erano disposti a spendere per il funerale era direttamente proporzionale al loro amore per il caro estinto.
Questa visione piuttosto sfavorevole dell’industria funeraria, inseme allo sviluppo di una coscienza ambientalista, è alla base di nuovi approcci verso la sepoltura ed il rituale funerario. In questo articolo descriverò tre di queste innovative soluzioni, che nonostante si trovino ancora in fase di sviluppo hanno ottenuto ampia pubblicità e attenzione nei media, soprattutto nel mondo anglosassone: l’Urban Death Project, Capsula Mundi, e la Coeio Infinity Suit. Queste iniziative, ideate non da impresari funebri ma da designer e architetti, si presentano come l’avanguardia di una vera e propria rivoluzione culturale nei rituali funebri: come spiegherò, l’approccio che propongono verso morte e rituali ad essa legati non è certo privo di problematiche.
In tempi recenti, soprattutto nel mondo anglosassone, si sono andate sviluppando varie soluzioni di sepoltura ecologiche come alternativa a metodi tradizionali. I funerali “verdi” (“green funerals”) e “naturali” (“natural burial”), per esempio, sono divenuti popolari per il rifiuto della cremazione e dell’imbalsamazione in quanto metodi inquinanti, e promuovono la sepoltura del corpo in una bara o in un semplice panno in materiale biodegradabile. I cimiteri “naturali” non hanno vere e proprie lapidi, e spesso permettono l’uso di targhette temporanee o non invadenti per segnare il luogo di sepoltura. Con il progetto Capsula Mundi, ideato dai due designer Italiani Citelli e Bretzel, la sepoltura naturale viene declinata in modo decisamente originale. La Capsula Mundi è un contenitore biodegradabile a forma d’uovo, nel quale il defunto viene riposto in posizione fetale. L’uovo viene poi sepolto nel terreno come un seme, e un albero scelto dal defunto stesso è piantato sulla superficie. Sull’albero non viene scritto il nome del defunto, ma un sistema GPS permette di preservare l’identità dell’individuo ed il luogo di sepoltura. Questo metodo vuole favorire, anzichè ostacolare, la decomposizione, che è parte integrante della sua filosofia: il corpo, generato dalla natura, si dissolve nuovamente in essa.
La designer Jae Rhim Lee, invece, ha ideato l’Infinity Burial Suit, una sorta di tuta che viene indossata dal defunto prima della sepoltura. Contiene quello che viene definito come un “biomix” di funghi ed altri microorganismi che, stando al sito, “fanno tre cose; aiutano la decomposizione, neutralizzano le tossine che si trovano nel corpo e trasferiscono nutrimento alle piante” http://coeio.com/faqs/ . In tal modo, senza la bara ed agenti chimici per l’imbalsamazione, il cadavere si decompone velocemente, senza rilasciare elementi dannosi nell’ambiente.
La decomposizione, e la concezione del corpo come un’entità che può nutrire l’ambiente, si trova al centro dell’Urban Death Project dell’architetto Kathrina Spade. Attraverso un processo definito “ricomposizione”, lo scopo di UDP è di trasformare i cadaveri in terriccio, restituendoli dunque alla natura ed alla comunità. Questo processo, secondo Spade, deve avvenire non in siti di sepoltura naturali in aree rurali, ma nelle aree urbane, in strutture a forma di torre come quelle visibili nell’immagine (FILE “UDP TORRE”). C’è anche un rituale legato alla “ricomposizione”: il corpo, avvolto in un panno, viene trasportato in cima alla struttura, deposto sulla superficie, e coperto di truccioli di legno. Il corpo inizia poi a decomporsi, e dopo circa un mese si trasforma in un terriccio indistinguibile da quello prodotto dagli altri corpi nella torre. I parenti vengono incoraggiati a portare un po’ del materiale nei loro giardini, ed il resto viene utilizzato per concimare giardini sia nel sito che nel resto della città. “In questo modo” si legge sulla pagina web “i defunti vengono reinseriti nel tessuto della comunità”.
Questi tre progetti si trovano in diversi stadi di sviluppo. Mentre UDP è ancora in fase di prova, Capsula Mundi sta per rilasciare una versione più piccola del contenitore ovodiale, che può essere utilizzata per le ceneri. La Infinity Burial Suit, invece, può già essere aquistata per 1500 dollari.
L’aspetto più interessante di questi progetti è non tanto la loro fattibilità, ma la popolarità che hanno ottenuto sul web, ed il discorso tramite il quale le innovazioni vengono presentate e sul quale la loro importanza viene sostenuta. La prima cosa che stupisce nella loro presentazione è l’estetica dei siti web. Non c’è traccia di salici piangenti e di soffioni mezzi disfatti dal vento, colonne portanti della grafica funeraria: i siti web adottano completamente il minimalismo adorabile e familiare onnipresente nella pubblicità e nel marketing contemporaneo.
Il fatto che questi siti utilizzino il design più popolare del capitalismo contemporaneo (un design descritto dal New York Times come “non-minaccioso, rassicurante, giocoso e anche infantile” [link http://www.nytimes.com/2009/05/31/weekinreview/31marsh.html]) dimostra che questi progetti non solo parlano la lingua delle nuove generazioni, ma che tentano di diventare popolari entrando nel mercato della sezione sempre crescente della popolazione che favorisce uno stile di vita salutare, prodotti organici, e per cui il rispetto dell’ambiente è parte integrante delle proprie scelte e acquisti.
Anna Citelli, la designer di Capsula Mundi, conferma questa concezione del funerale a impatto zero come parte di una scelta di vita: “Questo è un momento culturale particolare, si sente la necessità di compiere gesti di attenzione verso il pianeta e verso il futuro delle prossime generazioni. Una diversa consapevolezza delle conseguenze delle nostre scelte, attraversa tutti i momenti della giornata, dai pasti all’abbigliamento.” [link: http://www.rainews.it/dl/rainews/articoli/Capsula-Mundi-idea-per-riposare-per-sempre-sotto-un-albero-1124faf6-ca71-4dc1-9799-a574e9f5a03c.html]
Infatti, più che promuovere prodotti, Capsula Mundi, Coeio, e UDP promuovono apertamente una visione. Coeio parla di un “cambiamento culturale” [http://coeio.com/coeio-story/], affermando che “quando qualcuno è coinvolto con i nostri prodotti, è anche coinvolto in un movimento, e diventa come una famiglia per noi” [http://coeio.com/faqs/]. Similmente, i designer di Capsula Mundi la definiscono “una proposta culturale” [http://www.capsulamundi.it/it/ ] e UDP parla della creazione di una “cultura del dare” attraverso il metodo della ricomposizione [https://www.garrisoninstitute.org/blog/redesigning-death-care/].
La visione promossa da queste iniziative è dunque un misto di “death-awareness” e di pensiero ecologista, una reinvenzione dei rituali funerari che si propone di essere sia sostenibile a livello ambientale che ricca di significato. Infatti, tutte e tre le iniziative si sforzano di dimostrare che le loro soluzioni sono ricche di significato, e non utilitaristiche risposte alla necessità di trovare alternative meno inquinanti ed ingombranti alle pratiche di sepoltura tradizionali dove la ricomposizione è sia un “processo” che un “rituale”.
In questi nuovi rituali, il significato viene attribuito attraverso una narrativa diversa da quella religiosa. Facendo appello ad un senso di responsabilità collettiva, di cura reciproca e di nutrimento, queste innovazioni propongono “un ritorno alla natura”, frase che ricorre innumerevoli volte nei siti internet dedicati a queste ed altre forme di sepoltura ecologiche. Ne consegue che la foresta che verrà generata dai semi di Capsula Mundi non è solo un bosco ma “un bosco sacro” (http://www.capsulamundi.it/it/), e che la tuta piena di funghi ci permette di “condividere il viaggio” con Coeio (http://coeio.com/coeio-story/).
La filosofia, se tale può essere definita, dietro queste innovazioni è l’idea che la società occidentale è sempre più distante dalla natura, e che il modo in cui la morte è stata affrontata nell’ultimo secolo è, anch’esso, innaturale. Il trattamento chimico dei corpi con l’imbalsamazione, la medicalizzazione della morte, e il fatto che la cura del defunto viene esternalizzata alle compagnie funebri sono fattori perceptiti come manifestazioni del “taboo” che molti suppongono caratterizzi la nostra società. Caitlin Doughty, celebrità della rete, fondatrice dell’ “Ordine della Buona Morte” e propretaria di un’azienda funeraria che si specializza in funerali ecologici afferma che “la morte in sè è naturale, ma l’ansia ed il terrore che la cultura moderna ha verso di essa non lo sono”. http://www.orderofthegooddeath.com/about.
La narrativa del ritorno alla natura proposta dagli ideatori delle soluzioni qui descritte pare dunque essere una combinazione di due concezioni molto pervasive nel pensiero occidentale. La prima è una versione romanticizzata dell’opposizione fra natura e cultura, ove la natura è percepita come una condizione di armonia primordiale e la cultura come un’intrusione distruttiva nel mondo naturale. La seconda è, invece, la narrativa biblica della caduta: uscendo dall’ordine naturale, gli esseri umani perdono la loro innocenza, e l’entrata nel mondo culturale è caratterizzata da un senso di perdita.
Mentre il tentativo di rendere le pratiche funerarie più sostenibili a livello ambientale è certamente positivo, rimango estremamente scettica sulle premesse filosofiche di tale rivoluzione, specialmente per quanto riguarda la concezione di quello che costituisce un modo “naturale” di morire. L’idea che l’ansia ed il terrore verso la morte siano caratteristiche dell’epoca contemporanea, cosi’ come l’idea, molto diffusa, che ci sia un taboo nei confronti della morte nella societa’ occidentale, sono affermazioni dubbie dal punto dell’accuratezza storica ed ormai abbandonate in quanto superate da gran parte della comunità accademica in sociologia, antropologia, e discipline annesse.
L’articolo è la traduzione di un testo che Laura Tradii ha pubblicato su un magazine inglese.
L’autrice
Laura Tradii è un’antropologa interessata all’antropologia della morte e dei rituali funebri. Dopo un Master in Storia della Scienza, Tecnologia e Medicina presso l’University of Oxford, sta proseguendo i suoi studi sull’antropologia della commemorazione militare con un dottorato di ricerca all’University of Cambridge.