Il Patchwork dei nomi

di Maria Angela Gelati

 

Motivato dall’impressionante numero di persone morte in California per il virus HIV tra il 1980 e il 1987 e dalla preoccupante inerzia governativa nei confronti dell’epidemia, l’ideatore Cleve Jones, insieme ad alcuni collaboratori, diede vita alla Fondazione Names Project, il cui preciso obiettivo era quello di “attingere da ogni esperienza individuale e cucire insieme tutto per creare qualcosa che trasmettesse energia e bellezza” (Segalen, 2002).
La comunità omosessuale, cosciente del fatto che la società ne rifiutava ogni aspetto, compresi i rituali per il lutto, si attivò per restituire presenza e identità ai defunti, anche dopo la morte.

Come per i quaccheri i quali, per ricordare le tappe del loro viaggio dall’Inghilterra per arrivare in America, realizzavano coperte e trapunte, dando un significato al disegno ottenuto dalla cucitura di pezzi diversi di stoffa e di vecchi abiti (Berzano, 2001), così la comunità omosessuale, unendo insieme i “ritagli” di vita, diversi e svariati, ha voluto dare consistenza ad un vero e proprio rito di passaggio (Van Gennep, 1992) in memoria del defunto, inserendo le formalità più adeguate per manifestare la perdita e commemorare la morte ed il ricordo di un componente del gruppo, accompagnando in questo percorso quanti gli sono stati vicini.
Proprio come nella tradizione quacchera, il rituale coincide con la creazione di una coperta, dove i pezzi di tessuto, cuciti insieme, formano un rettangolo grande quanto una tomba (190 per 90 cm).
Ciascuna coperta simboleggia la persona scomparsa, ne riporta il nome e l’età ed i disegni ottenuti con la sovrapposizione di stoffe e colori diversi ricordano i momenti della vita trascorsa.

Il patchwork realizzato per i giovani ha un significato ancora più struggente.
La realizzazione del patchwork è fatta in comune con tutti i membri della comunità e sostituisce le tradizionali veglie funebri. Può durare per un anno ed anche oltre.
I periodi di tempo passati insieme a scegliere le stoffe, a disegnare i motivi che ricordano il defunto e il suo modo di amare la vita divengono momenti per superare il dolore e dissipare il rimpianto, ricreando legami autentici tra i vivi, per sostenersi ed affrontare meglio la vita.
Ai momenti di ricordo, come negli antichi rituali, seguono riunioni conviviali.
In particolari occasioni, come il 1° dicembre, giornata mondiale per la lotta contro l’aids, il patchwork acquisisce un fondamentale ruolo liberatorio.
Le coperte cucite insieme per 8 in modo da formare un quadrato, vengono esposte in luoghi pubblici (piazze, stazioni, aeroporti) con l’intento di far comprendere la gravità della malattia, insegnando soprattutto ai giovani come difendersi e permettendo la raccolta di fondi.
È il momento della memoria: in una atmosfera permeata da grande silenzio, ognuno pronuncia il nome di una persona scomparsa.
Evocare la persona, chiamandola per nome è come donarle una nuova esistenza, farla ritornare in vita, permettendole “di riprendere” simbolicamente l’esistenza dal momento in cui se ne è andata.

Il bisogno di mantenere l’identità del defunto, esclusa e bandita soprattutto se in quanto vittima dell’aids, acquisisce una duplice finalità: ne annulla l’anonimato (analogamente alla perdita di ogni elemento identificativo nella sepoltura in fosse comuni), ne restituisce, con la pronuncia del nome, l’esistenza ed il ritorno nel gruppo di appartenenza, in cui i legami tra amici e congiunti divengono i pezzi del patchwork.

 

Bibliografia:

Berzano L. “Riti, religiosità e religioni” in Sozzi M. (a c. di) La scena degli addii. Morte e riti funebri nella società occidentale contemporanea, Milano, Paravia, 2001.
Maffesoli M. Il tempo delle tribù. Il declino dell’individualismo nelle società postmoderne, Milano, Guerini e Associati, 2004.
Segalen M. Riti e rituali contemporanei, Bologna, Il Mulino, 2002.
Van Gennep A., I riti di passaggio, Torino, Boringhieri, 1992.

 

 

 

L’autrice

Maria Angela Gelati
Giornalista e tanatologa. Collabora come docente al Master “Death Studies and the End of Life” (Università degli Studi di Padova). Nell’ambito della formazione professionale, organizza corsi a carattere sanitario, sociale e funerario.
In questa dimensione di studio e formazione approfondisce le tematiche inerenti i rituali e le pratiche della morte nei diversi contesti sociali e culturali, con il perseguimento di finalità atte a formare una mentalità culturale di accettazione del concetto di morte e della sua inclusione nell’habitat vitale dell’uomo.
Nel 2007, insieme a Marco Pipitone, ha realizzato a Parma la Rassegna Il Rumore del Lutto, che ogni anno propone nei giorni della commemorazione dei defunti una diversa riflessione sulla vita e sulla morte (www.ilrumoredellutto.com).
L’albero della vita (Mursia, 2015) è l’ultima delle sue pubblicazioni.

Stampa l’articolo:

il patchwork dei nomi