RITI E RITUALI FUNEBRI: TEMI, PROBLEMI, PROSPETTIVE

di Giovannimaria Brichetti e Cristina Zaniboni

Tavola rotonda di confronto, scambio, raccolta di buone prassi sul tema delle esequie

 Report della giornata di studio indetta il 20 gennaio 2018 a Brescia a cura dell’associazione Bibliodramma

GIOVANNI BRICHETTI

In questa  giornata di confronto desideriamo mettere al centro la possibilità di guardare dentro ai riti e ai significati delle esequie nella nostra realtà sociale italiana; l’obiettivo è osservare e condividere da diverse prospettive cercando di comprendere quanto e come l’evoluzione culturale, le influenze interculturali e la secolarizzazione li stiano modificando.

Attraverso il concreto contributo di chi accompagna a diverso titolo le persone nel vivere questi momenti, ci chiederemo quali siano i significati effettivi che vengono veicolati, a quali bisogni si dia oggi effettivamente risposta ed in questa evoluzione, cosa si stia migliorando e cosa forse si stia perdendo.

Padre Cantalamessa ci dice che, per il filosofo Martin Heidegger, ogni istante che viviamo è qualcosa che viene bruciato, sottratto alla vita e consegnato alla morte. Sostiene che il vivere è un “Vivere-per-la-morte”; ciò significa che la morte non è solo la fine, ma anche il fine della vita. In definitiva si nasce per morire. Veniamo dal nulla e torniamo nel nulla. Questo a differenza della visione cristiana, secondo cui l’uomo è un “essere-per- l’eternità”.

Al di là del proprio credo possiamo comprendere quanto la morte sia un aspetto centrale per qualsiasi visione della vita e quindi quanto sia prezioso celebrare nel migliore dei modi la sacralità di questo passaggio esistenziale. E allora diventa importante chiederci quanto davvero valorizziamo questo passaggio?

Per chi è cristiano dovrebbe celebrare il passaggio definitivo, mettendo in luce questo “essere per l’eternità”, questo entrare nella luce di Dio. Ma è davvero questo che mediamente passa al centro delle nostre celebrazioni funebri? Quanto i nostri riti e le nostre celebrazioni delle esequie comunicano realmente il sentimento che dovrebbe accompagnare il passaggio all’Eternità?

Si dice “hai una faccia da funerale” proprio per esprimere la metafora di un’esperienza triste, brutta. Pensiamo al tristissimo suono delle campane a “morte” che precedono un funerale, senza nulla togliere al dolore che naturalmente le accompagna. Ormai la parola funerale è intrisa di colori cupi, senza alcuna speranza.

E allora cosa passa, al di là delle buone intenzioni, nella media delle esperienze?

Con il graduale svuotamento delle nostre chiese e lo sgretolamento delle nostre comunità parrocchiali, con la drastica diminuzione dei sacerdoti, con l’evoluzione delle esigenze della nostra società, con la veloce diffusione di nuove agenzie specialistiche e servizi che si stanno affiancando nella gestione del tempo delle esequie?

E’ in atto un veloce cambiamento, ma chiediamoci: Verso dove?  Rispondendo a quali bisogni?  Mantenendo o perdendo quali significati? 

Il tema è molto ampio.

Partiremo dal condividere una fotografia, fatta da punti di vista e da sguardi diversi, talvolta anche molto differenti culturalmente, non certo per dire chi ha quello giusto, bensì per comprendere qualche aspetto in più della complessità del fenomeno, sempre più vissuto e espresso con approcci anche molto diversi nella nostra società multietnica e multiculturale.

Poi cercheremo di individuare sia i nodi critici che le “buone prassi” sperimentate per riflettere su cosa e come si possa migliorare questi momenti.

Ora la parola a Maria Angela che ci darà una panoramica dell’evoluzione culturale in atto e delle problematiche connesse.

 

MARIA ANGELA GELATI

 

Ci proponiamo, nel corso di questa giornata, di valorizzare il contributo di ognuno, senza giudizi ma confrontandoci su ciò che emerge dal tessuto sociale in cui siamo immersi, con l’idea di una mappa di fondo da leggere.

Il tanatologo oggi non è solo uno studioso della morte e del morire ma è colui che si occupa di mutare una mentalità, di aprire nuovi orizzonti. La tanatologia, che parte da un pensiero di crisi, non è forse intesa con una duplice connotazione, di pericolo oppure di opportunità?

Fin dalle origini i defunti sono stati sempre degni di attenzione. Non esiste nessun gruppo arcaico che abbandoni i propri morti senza riti. Il morto fa nascere domande universali di senso e la ritualità funeraria nasce proprio dall’esigenza di intervenire nel momento della morte affinché le spoglie del defunto abbiano una propria destinazione.

Tutte le società umane hanno riti funebri e questo ci fa comprendere le loro  importanti funzioni.

Il rito ha un valore fondamentale per varie ragioni: permette al dolore di distribuirsi in qualche modo su ciascuno dei presenti; è fondamentale nel rafforzare le relazioni interpersonali; rappresenta un momento di rottura rispetto al fluire della quotidianità e segnala che qualcosa di importante è avvenuto e merita attenzione.

La morte spezza l’ordine prestabilito e, allo stesso modo, il lutto è un vero e proprio lavoro che deriva da tale rottura e travolge ogni nostra dimensione. In questa prospettiva la comunità aiuta a superare il senso di afflizione poiché  l’esserci consente innanzitutto il dispiegarsi di “parole contro la morte” (Douglas J. Davies). 

Proviamo a definire meglio il termine rito, con la consapevolezza che è difficile comprenderlo profondamente se non viene vissuto come esperienza, oltre che come parola.

L’etimologia della parola rito contiene in sé i concetti di ordine e ritmo. Si tratta di un evento che si ripete nel tempo secondo un protocollo e che, di fatto, investe totalmente le dimensioni umane; se il rito si realizza in modo efficace è in grado di portare delle trasformazioni negli individui coinvolti.

Per rappresentare il concetto di rito si richiama l’immagine di quattro strade che si incontrano, si attraverso e si oltrepassano.

Un tempo la morte avveniva in casa; abbiamo testimonianza di ciò anche in molti quadri. Ne è un esempio il quadro di Eduard Munch “La morte nella stanza della malata”, che ritrae la sorella morente Sophie. Il dipinto è uno stralcio di vita quotidiana, in cui si vede la morente nella stanza, in cui sono presenti anche i bimbi, che potevano così familiarizzare con un momento di vita tanto importante.

A quel tempo si celebravano riti comunitari che rendevano quasi possibile l’interruzione della sofferenza, si pensi alle lamentatrici funebri per esempio.

Nella società attuale i riti funebri si stanno trasformando, mentre i ponti con il passato si stanno via via sgretolando… Possiamo interrogarci sul significato e gli effetti di tale mutamento.

Il valore collettivo della ritualità funebre, fino a qualche anno fa così presente, oggi sta scomparendo. Per esempio molti giovani adulti partecipano al rito funebre ma non si recano a visitare il defunto prima della chiusura del feretro.

I riti non svolgono più quella funzione che hanno svolto per secoli. Il più delle volte, in ospedale, la morte avviene dietro un paravento, dove non c’è intimità. Il defunto è trasportato nelle camere mortuarie, che sono di norma luoghi non curati e regolati da rigidi orari per le visite, che non prevedono la possibilità di soffermarsi vicino al defunto, in una situazione protetta o intima.

Gli stessi operatori funerari se ne sono resi conto e già dalla fine degli anni ’90 (quando la relatrice ha cominciato a svolgere per loro progetti di formazione) hanno evidenziato un senso di inadeguatezza, rispetto ai familiari che accompagnavano nel servizio funebre. Questo cambiamento dei rapporti sociali (processo di individualizzazione), ha investito anche le liturgie religiose.

Sono state molte le città del nord Italia in cui Gelati ha svolto docenze e raccolto testimonianze di operatori funerari che raccontavano gli imbarazzi dei familiari in chiesa, i quali non riuscivano a seguire la Messa, non sapendo per esempio quali preghiere dire, quando alzarsi o sedersi, quando inginocchiarsi, se fare o meno la Comunione, ecc.

Anche per questo, forse, si sono formati ed hanno avuto successo associazioni e gruppi di auto mutuo aiuto nel lutto, per offrire aiuto, sostegno e poter superare le differenti forme di dolore e sofferenza.

In Europa, i paesi del Nord hanno avuto tempi diversi nell’avvertire il bisogno di spazi e gesti sapientemente dosati e mescolati a livello rituale. Si deve anche considerare l’aumento della pratica della cremazione, il cui paese più rappresentativo resta l’Inghilterra.

In Italia si è registrata una evoluzione, anche da parte dell’istituzione religiosa, nei confronti della cremazione.

Che dire poi dei nuovi luoghi del commiato? Qui, oggi, ci sono impresari funebri che hanno aperto una Casa funeraria. In questi nuovi spazi come è pensato il percorso rituale? È stata compresa o accolta la figura professionale del Cerimoniere funebre? Si tratta di una figura in evoluzione che molto può fare per umanizzare i “vuoti rituali” durante il servizio funebre, ma non solo. Si pensi anche al Cerimoniere funebre che si occupa di accompagnare i dolenti al cimitero durante le operazioni cimiteriali di esumazione ed estumulazione.

Questo è il quadro necessario dal quale partire, poiché la nostra società ha alle spalle riti che hanno perduto la loro forza, mentre davanti a sé vi sono nuove forme rituali, nuovi gesti (l’applauso, il lancio dei palloncini…) e processi in divenire, per realizzare i quali occorre  saper vedere con nuovi occhi.

 

DON PAOLO TOMATIS

 

Il documento di riferimento della Chiesa Cattolica in materia di esequie è del 2011 e cura tutti gli aspetti che vanno dalla morte in casa alla sepoltura.

Esso sottolinea la necessità di una ritualità fatta di soglie, a tappe; la ritualità si compie nella casa, nella chiesa, nel cimitero, luogo di socialità e utile per mantenere il ricordo dei defunti. Queste ritualità richiedono da una parte di trattenersi con il defunto e dall’altra di lasciarlo andare ed una cosa aiuta l’altra, nel senso che possiamo lasciare andare perché potremo stare insieme in un modo nuovo nel momento in cui avremo lasciato andare.

Altro principio della chiesa è la comunione, cioè non lasciare soli i parenti ma coinvolgere la comunità: nel Sud si mette a disposizione la chiesa o una stanza per accogliere la salma e per permettere alla comunità di visitarla, laddove diventa difficile poterla tenere in casa.

Dopo la sepoltura la Chiesa prosegue nel supporto all’elaborazione del lutto proponendo una ritualità che avviene sia nell’ambito famigliare che comunitario partecipando ai momenti nei quali si ricordano i defunti.

Di seguito sono illustrate alcune questioni aperte con cui la Chiesa si trova a fare i conti.

La Chiesa si trova in una situazione di contrazione dei sacerdoti, con un aumento degli anziani e dei funerali e un aggravio del peso psicologico dei sacerdoti che si trovano affaticati dall’intrattenersi continuamente con la morte. Questo può essere affrontato aprendo ai laici la possibilità di celebrare le esequie, perché il documento ecclesiale prevede questa possibilità, ma per ora sono pochi i vescovi che ne hanno fatta concreta richiesta.

Si è pensato anche alla possibilità di celebrare più funerali contemporaneamente, ma questa soluzione è poco gradita dalle famiglie e pone il problema della condivisione del dolore di altre famiglie, con il rischio di un’amplificazione del dolore e un rischio di contagio emotivo.

Più realistica la possibilità di formare delle equipe che sostengano il sacerdote in alcuni momenti delle esequie laddove non è indispensabile la sua presenza, dalla chiusura del feretro all’accompagnamento al cimitero. In questo senso l’importanza dei laici non vale solo per i sacerdoti ma anche per la presenza concreta della comunità rispetto all’attraversamento del lutto.

Un’altra problematica che si evidenzia è l’esigenza crescente di personalizzazione del morire che si accompagna ad una dinamica opposta, quella dell’anonimato, che porta a lottare contro questo aspetto. Se quindi personalizzare da una parte è cosa bella perché permette di condividere il ricordo, dall’altra si presta ad alcuni eccessi: lettere, parole, canzoni, oggetti, foto… Interventi narcisistici che trasformano il momento del ricordo in un palcoscenico per parlare di sé; ascolto di canzoni che possono suscitare emozioni molto intense e possono annullare la capacità di convogliare le emozioni in un senso di compostezza e di tenuta. Elementi che rischiano di snaturare il messaggio cristiano e non favoriscono tanto un clima di preghiera ma di spettacolo. Il rischio è quello inoltre di perdere il controllo di una funzione importante del rito: orientare l’emozione. Il rito infatti ha la funzione anche di gestire l’emozione, non farla debordare.

Un altro elemento a cui prestare attenzione è la scelta cremazionista, che si sta imponendo. È in atto una politica economica che fa si che l’inumazione sia sempre meno scelta; a Milano l’80% delle persone scelgono di farsi cremare. I costi sono molto inferiori, sia rispetto alla conservazione delle ceneri nel cimitero, sia rispetto alla possibilità di dispersione in natura (effettuata anche se non ovunque permessa) scelta quest’ultima che permette di abbassare ulteriormente i costi, eliminando le spese di conservazione.

Riguardo a questa scelta, l’invito è di fidarsi della saggezza della Chiesa che chiede di tenere le ceneri né troppo vicine (in casa) né troppo lontane (disperse in natura), per evitare il rischio da una parte di non riuscire a distaccarsi dal defunto e d’altra parte di separarsi troppo velocemente da lui senza rispettare i tempi interni di elaborazione, non avendo più un luogo in cui recarsi per far visita al defunto.

 

ALESSANDRO BOSI

 

Sulla materia della realtà funeraria il nostro Paese che si articola in quanto a legislazione piuttosto vecchia.

L’unica legge recente è quella che regolamenta la cremazione, la N. 130 del 2001, ma per renderla esecutiva serviva un regolamento attuativo che non è stato mai fatto. Quindi la legge consente alcune pratiche ma ne blocca altre; ogni regione ha approvato proprie leggi interne per ovviare a questa mancanza, che ha portato a quello che Bosi chiama “un confuso ma utile federalismo normativo”.

Alcuni aspetti sono condivisi da quasi tutte le regioni, ma mancano ancora delle regolamentazioni per sdoganare alcuni importanti questioni:

  1. La tanatoprassi: interventi, ad oggi illegali in Italia, sul corpo del defunto che permettono di rendere presentabile un corpo che è stato compromesso, per esempio da un incidente, o permettere una esposizione più prolungata.
  2. La cremazione: mancano regolamentazioni in materia di affidamento domestico e di dispersione
  3. Le case funerarie: strutture in cui è possibile trasferire il defunto per un periodo di osservazione, con locali idonei per la preparazione della salma, camere ardenti e una sala del commiato, luogo in cui vengono spese parole in onore del defunto. Ci sono oggi Case funerarie che propongono anche spazi per accogliere i parenti lontani, fino al servizio bar e ristorante.

Bosi ha sottolineato come tali strutture non siano assolutamente alternative alla Chiesa, per chi desidera un funerale cristiano. Infatti le case funerarie sono a supporto del parroco che può accelerare i tempi, sono in parallelo e offrono una possibilità per effettuare funerali laici

 

Cosa serve ancora:

  • Uniformità di normativa nazionale, specie nella possibilità di effettuare nuove strutture funerarie;
  • Regolamentare ovunque la possibilità della dispersione delle ceneri in natura o la conservazione nei cimiteri, per tutelare i dolenti nell’evento morte e per evitare comportamenti illeciti;
  • Serve una regolamentazione della tanotoprassi, ancora considerata reato in Italia.

 

PADRE PETER GRUBER

 

Il Padre parte da una condivisione personale: il racconto del funerale della zia in Olanda, dove ha trovato una cultura aperta alla cremazione e alla dispersione in natura. Qui, come in tutti i paesi occidentali più avanzati, si tende a usufruire di servizi funerari legati alla cremazione, dove c’è anche la possibilità di mangiare nell’attesa che avvenga la cremazione.

La chiesa italiana ha il timore di perdere la propria presenza nel rito funebre, ma il padre ritiene che non c’è motivo di avere questo timore, perché da parte nostra la Chiesa mantiene il compito di accompagnare le persone a trovare dei riti consoni all’evoluzione culturale.

Per la sua esperienza c’è una richiesta di ritualità da parte della gente, richiesta sempre più personalizzata e meno tradizionale, per cui bisogna sapere incontrare queste differenze e non possono farlo solo i sacerdoti ma anche i laici. Nella sua diocesi si stanno formando dei laici e anche a Bolzano un gruppo di donne dell’azione cattolica ha elaborato dei testi in tal senso: hanno raccolto preghiere e modalità di accompagnamento alla morte e dopo la morte che hanno fatto avere a numerose famiglie del territorio affinché siano preparate a questo passaggio.

È bello che il rito delle esequie sia un momento comunitario, intenso, di apertura, di accoglienza, di canto e ballo per vivere serenamente l’evento. In Trentino è usanza diffusa mangiare e bere insieme dopo il funerale. È un momento di convivialità dall’elevato valore simbolico: come il cibo ingerito viene trasformato dal corpo in energia, così il vissuto di lutto inizia a trasformarsi in altro attraverso un avvio di elaborazione che permette di passare gradualmente dal guardare alla morte al parlare e a dedicarsi alla vita.

È molto importante fare memoria e conservarla, averla a portata di mano: può essere un simbolo, una foto, una ritualità oppure anche un sito dove si raccolgano le memorie di ognuno (forse si farà a Merano), questo permette una elaborazione che passa dal cogliere il defunto come morto al fare pace con questa dimensione in chi resta e arrivare a vedere la persona nella luce, “risorta” a nuova vita. Inoltre il cimitero è un modo per ricostruire la storia del luogo e del singolo, ritrovando le persone significative per ognuno e quelle importanti per la comunità; oggi con la pratica della cremazione è necessario pensare a nuove forme di condivisione per fare memoria.

Si conclude raccontando un intenso rito celtico portato avanti dalle sacerdotesse, volto a ringraziare e salutare ogni parte del corpo onorandolo. Si tratta di gesti dall’elevato valore simbolico e rituale: ad ogni parte del corpo, nessuna esclusa, viene dedicato un rito fatto di carezze e preghiere speciali. Accarezzare permette di onorare e lasciare andare il defunto, come due persone che prima di un lungo viaggio si salutano con un contatto fisico per caricarsi della presenza dell’altro da portare nel cuore. La formula di saluto prevede anche il perdono, che dà la possibilità di avviare una riappacificazione con i sospesi vissuti nella relazione con il defunto.

Il canto, valorizzato dai celti, apre alla trasformazione del dolore, così come la musica che apre il cuore e crea senso di comunità.

Tutto viene trasformato per i celti, tutto può tornare a donare vita, anche l’acqua che ha lavato la salma viene utilizzata per annaffiare un albero e quindi rigenerata in vita.

  1. Gruber propone dei percorsi sul morire e sull’elaborazione del lutto anche con la Via Crucis volti a iniziare una buona elaborazione del lutto anche prima che avvenga la tumulazione del defunto.

 

RICCARDO PROSPERI – BOSCHIVIVI

 

Boschi Vivi è una cooperativa che gestisce il bosco a scopo commemorativo, nel rispetto della persona, del territorio e della Natura. Un’alternativa al tradizionale sistema cimiteriale unica in Italia, che permette l’interramento delle ceneri in area boschiva.

Tramite l’acquisizione o la presa in gestione di un area boschiva da Enti sia pubblici che privati, Boschi Vivi provvede a restituirla alla comunità, con la rigenerazione dell’area in oggetto, sia per quanto riguarda il recupero ambientale e vegetazionale sia per il miglioramento della fruibilità.

In progetto sta nascendo da un anno ed è volto a permettere la dispersione delle ceneri nella natura, in un luogo preciso, individuabile e visitabile nel tempo, e contemporaneamente attento alla natura e alla sua conservazione. Il servizio cimiteriale è sempre meno sostenibile, non solo dai singoli cittadini ma anche da parte dei comuni, specie se piccoli. Ne consegue che la cremazione è in netto aumento.

Il progetto, ispirato ad uno simile da anni realizzato in Germania, consente la dispersione, con apposito accompagnamento di un tecnico, sotto un albero determinato, individuabile con GPS.; ci sarà la possibilità di apporre una targhetta personale.

Un progetto che permette di regolamentare meglio una dispersione già in atto in natura, ad oggi di fatto in largo uso, ma in forma spesso illegale. Boschi Vivi prevede infatti un iter contrattuale volto ad assicurare che le volontà dell’aderente vengano rispettate e ad agevolare le fasi burocratiche necessarie per l’adempimento, sollevando i congiunti da un peso che altresì dovrebbero sostenere nel difficile momento luttuoso che si troveranno ad affrontare.

Boschi Vivi si basa sul principio di economia circolare, è previsto infatti che le quote degli aderenti per il mantenimento dell’albero scelto e del contesto in cui si trova sostengano la gestione amministrativa e forestale, coprendone i costi e permettendo di investire in altri progetti di salvaguardia di aree boschive, anche in aree diverse da quelle utilizzate per il servizio di dispersione e commemorazione.

Boschi Vivi aprirà il servizio nel 2018, in una prima area boschiva di 11 ettari presso il Comune di Urbe, in Liguria. L’intento della Cooperativa, per i prossimi anni, è quello di ampliare il servizio presso i grandi bacini metropolitani di tutte le regioni Italiane.

 

POMERIGGIO

Gruppo di lavoro

 

Il problema vero della dispersione sembra essere non tanto quello del disperdere o meno le ceneri in natura, ma quello che non ci sia la possibilità di avere un luogo in cui ricordare il defunto. È importante avere un luogo in cui vivere il lutto; la dott.ssa Gelati porta il racconto di una ragazza morta improvvisamente, i genitori non hanno mai comunicato la notizia e hanno scelto di disperderla. Per gli amici e i parenti è stato difficile elaborare, senza un rito nè un luogo dove poter andare a salutare. In questo caso non c’è modo di poter stare vicini alle spoglie del defunto.

D’altra parte, Brunori, titolare a Brescia della casa funeraria “L’altra riva” porta la sua esperienza: figli che chiedono aiuto per convincere il coniuge rimasto in vita a non chiedere l’affidamento a casa perché il rischio è che la persona non esca più di casa e che i parenti ed amici non possano avere un luogo in cui intrattenersi con il defunto.

Allo stesso modo, P. Gruber ricorda l’importanza nei cimiteri di un luogo dedicato ai bambini mai nati, un luogo per vivere il dolore (anche il muro del pianto degli ebrei ha la stessa funzione).

I cimiteri sono tutti comunali, non della chiesa. Si tratterebbe di trovare un luogo in cui mettere i nomi anche di coloro che sono stati dispersi. P. Gruber racconta più nello specifico il proprio progetto con il comune di Merano che probabilmente sarà supportato dall’effettuazione di un sito che permetta una raccolta di informazioni relative ai defunti del luogo, perchè si possa conoscere qualcosa della storia di ogni defunto.

La dispersione deve essere scelta in vita dalla persona, ma nelle famiglie difficilmente se ne parla prima.

  1. Gruber porta la propria ipotesi sulla motivazione della scelta della dispersione: viviamo in una società depressa che non da più valore al singolo. Talvolta l’atteggiamento può essere quello del tipo: “Voglio essere disperso perché voglio essere dimenticato”.

Don Sottini, dalla Diocesi di Brescia, porta un piccolo intervento. Il battesimo è un momento di morte e risurrezione in cui si consegna la propria vita a Cristo e in quell’atto comincia la vita eterna: la vita cristiana è una esperienza di vita che è capace di annientare il morire. Il parto viene visto come momento di morte ad una condizione di vita (quella nel grembo materno), che viene meno con la nascita. Allo stesso modo la vita su questa terra viene letta teologicamente come nuova gestazione nel grembo della terra e il parto è la morte del corpo che aprirà ad una nuova condizione di vita ultraterrena.

Rispetto alle pratiche di conservazione del corpo, sottolinea che il cimitero non ha il tetto, è aperto verso il cielo. In materia di cremazione, ricorda come la Chiesa la permette ma non la sostiene.

Brichetti esprime la preoccupazione che la nascita di servizi funerari privati, a pagamento, sempre più articolati, unitamente alla diminuzione dei sacerdoti e all’aumento degli anziani in fin di vita, incrementi il divario tra il livello di accompagnamento delle persone ricche rispetto a quelle povere. Salvo che dalla comunità nascano nuove figure a supporto.

In generale, i presenti concordano sul fatto che a livello culturale si sta aprendo una fase nuova, siamo all’inizio della possibilità di ricominciare a parlare di morte. Il vero problema rimane ancora la paura della morte. Pare che le persone oggi siano in grado di cogliere l’importanza della “distanza prossimale” del defunto, ma solo una volta che l’hanno vissuto sulla propria pelle. Riflessioni e dibattiti come questi permettono ai vivi di iniziare a cogliere come possibile, e quindi pensabile, una riflessione su questi temi, per arrivare al momento della scelta con maggiore consapevolezza anche delle conseguenze che esse possono lasciare in chi rimane.

 

Rielaborazione a cura di

Cristina Zaniboni e Giovanni Brichetti

 

Gli autori

Giovannimaria Brichetti, psicodrammatista formatore. Cofondatore del portale vivereilmorire.eu. Coordinatore dell’Associazione Italiana Bibliodramma.

Cristina Zaniboni, Psicologa e formatrice.