Suicidio assistito con l’accordo di tutti?

Francesco Campione

 

Si è concluso presso la Corte d’assise di Milano il processo intentato contro il radicale Marco Cappato sulla base dell’articolo 580 del Codice penale (Chiunque determina altri al suicidio o rafforza l’altrui proposito di suicidio, ovvero ne agevola in qualsiasi modo l’esecuzione, è punito, se il suicidio avviene, con la reclusione da cinque a dodici anni), per avere accompagnato il Dj Fabo a fare il suicidio assistito in Svizzera.

A sorpresa i giudici, invece di proclamare la colpevolezza o l’innocenza dell’imputato, hanno sollevato davanti alla Consulta un quesito di incostituzionalità dello stesso articolo 580, facendo rilevare che il diritto a lasciarsi morire è parte del diritto della persona a disporre della propria vita e del proprio corpo, sancito a sua volta dagli articolo 2, 13, 32 della Costituzione italiana, dalla Carta europea e da una vasta giurisprudenza italiana (sentenza di Eluana Englaro e Piergiorgio Welbi) e internazionale.

Per stimolare una riflessione su questo sviluppo inatteso della vicenda condividiamo due articoli e ripubblichiamo una nostra proposta di legge.

 

“Ora sul fine vita è possibile una rivoluzione”
IL GIURISTA PELLEGRINO “MA DIPENDERÀ DAL CORAGGIO DELLA CORTE”

di Vladimiro Polchi, Roma

(La Repubblica, Giovedì 15 Febbraio 2018)

“La Consulta ha in mano una grande occasione: la sua decisione potrebbe allargare nel nostro Paese i limiti posti alla libertà di autodeterminazione su quando e come morire”.

L’avvocato Gianluigi Pellegrino, esperto di diritto amministrativo e costituzionale, ha appena finito di leggere l’ordinanza dei giudici milanesi nel processo a Marco Cappato. Una decisione dalle molteplici implicazioni, che può aprire a una “rivoluzione”: rendere legale il suicidio assistito anche nel nostro Paese. Ma tutto dipenderà dal “coraggio della Corte costituzionale”.

Come valuta la decisione della Corte d’assise di Milano?

“È un bicchiere mezzo pieno e mezzo vuoto. L’ordinanza rende espliciti i limitidel ruolo di supplenza che hanno dovuto assumere i giudici di fronte all’incapacità delle istituzioni rappresentative, e della stessa società, a fare scelte chiare in materia”.

Sarebbe dunque stato meglio per Marco Cappato un’assoluzione perché il fatto non costituisce reato?

“I giudici hanno escluso che ci sia stata induzione al suicidio. Potevano lavarsene le mani escludendo anche una condotta direttamente agevolatrice, visto che Cappato si è limitato all’accompagnamento in Svizzera di Dj Fabo poteva ancora liberamente decidere della sua vita”.

E invece la palla è passata alla Corte costituzionale.

“I giudici milanesi hanno voluto fare un primo passo per provare ad aprire una strada, che può portare a consentire anche nel nostro Paese il suicidio assistito”.

Si sono appoggiati a dei precedenti?

“Si sono rifatti all’evoluzione della giurisprudenza della Corte europea dei diritti dell’uomo, che ha progressivamente ritenuto prevalente il principio di autodeterminazione della persona. Come del resto in Italia è avvenuto per il rifiuto delle cure nel caso di Eluana Englaro e ora anche in Parlamento, finalmente, con la legge sul biotestamento. Il cerino per i passi successivi passa oggi alla Corte costituzionale”.

Quali sono ora i possibili scenari?

“La Consulta sarà davanti ad un bivio: rifiutare questo ruolo richiamando la discrezionalità del Parlamento ed eventualmente limitandosi a censurare l’esosità delle pene previste per la mera agevolazione materiale, oppure con una delle sue sentenze storiche dare atto che oggi nella società italiana non vi è più una generale riprovazione, ma semmai una diffusa comprensione per la scelta di autodeterminazione di mettere fine a una esistenza che sia diventata insopportabile”.

Sarebbe una decisione coraggiosa.

“Si, ma nel solco di quanto è avvenuto per il rifiuto delle cure, tra sentenze dei giudici prima e legge sul biotestamento poi, che infatti la decisione di ieri ampiamente richiama”.

In base alla giurisprudenza, pensa dunque che si arriverà ad una pronuncia di incostituzionalità?

“Penso che stia incostituzionale punire allo stesso modo l’istigazione al suicidio e il mero apprestamento di mezzi materiali a chi impedimento fisico, come la tetraplegia, non possa procurarseli, ferma la sacra autonomia della sua volontà. Per il resto, dipenderà da quanto la Corte vorrà sentirsi parte di cambiamenti della sensibilità collettiva che sono da tempo in corso”.

 

Il confine tra legge e dignità

Di Michela Marzano

(La Repubblica, Giovedi 15 Febbraio 2018)

Ogni persona è libera di decidere come e quando morire: è un principio cardine non solo della Convenzione dei diritti dell’uomo, ma anche nella nostra Costituzione. Ce lo ha ricordato ieri la corte d’assise di Milano, riconoscendo che Marco Cappato non ha rafforzato la volontà di Dj Fabo di porre fine alla propria vita, e chiedendo al tempo stesso alla Consulta di pronunciarsi sulla legittimità costituzionale del reato di aiuto al suicidio. Una decisione storica, quindi, nonostante l’apparente neutralità, visto che il processo a Cappato è stato sospeso in attesa che si pronunci la Corte Costituzionale. Solo la Consulta può d’altronde stabilire fin dove può spingersi il diritto all’autodeterminazione di ciascuno di noi e quale sia la relazione esatta tra la dignità della persona e l’autonomia individuale.

Al di là della mancanza di coraggio da parte di un pezzo importante del mondo politico italiano, la vicenda di Fabiano Antoniani e la decisione di Marco Cappato di accompagnarlo in Svizzera, ci costringono a riflettere sullo spazio che la nostra società è disposta a dare al desiderio profondo di chi, costretto dalla sorte a ritrovarsi in un limbo di sofferenza e impotenza, vorrebbe solo mettere fine a una vita che, di vita, ha ormai molto poco. È una questione delicata sia dal punto di vista giuridico sia, soprattutto, dal punto di vista etico. Ma dalla quale non è più possibile esimersi, visto che sono numerosissime le persone che aspettano che il proprio diritto all’autodeterminazione, nel momento in cui decidono di accedere al suicidio assistito, sia finalmente preso in considerazione.

In nome di quale principio si può d’altronde obbligare un’altra persona a comportarsi come alcuni pensano che ci si debba comportare? In nome di quali valori si può anche solo pensare di cancellare la soggettività altrui e di imporre agli altri la propria concezione del mondo e dell’esistenza?

La vita è sempre sacra, si sente ripetere da chi, forse, non si è mai dovuto confrontare con quella sofferenza profonda e quella assenza di speranza- perché non c’è più nulla da fare se non aspettare che finisca quella “notte senza fine”, come diceva Dj Fabo parlando della propria esistenza dopo l’incidente- che talvolta tolgono alla vita ogni dignità. Uccidere è un reato, si sente dire da chi, forse, non ha mai fatto lo sforzo di capire la differenza che esiste tra il “far morire” e il “lasciar partire”, il privare della vita di chi, quella vita, la vuole vivere e il liberare dal peso dell’esistenza chi, quell’esistenza, l’ha già abbandonata da tempo.

“Ho visto polmoni respirare da soli su un tavolo, macchine che sostituiscono cuori…ma è vita questa?”, si era chiesta la pm Tiziana Siciliano durante la requisitoria, chiedendo ai giudici o l’assoluzione di Marco Cappato o l’eccezione di legittimità costituzionale. Il cuore del problema, per lei, era proprio il senso del termine “vita” quando non si ha più la possibilità di esercitare la propria dignità. Non è allora anodina la scelta della Corte d’assisi di trasmettere gli atti alla Consulta: significa avere deciso che la questione dell’autodeterminazione non è più solo il cardine dell’etica contemporanea, ma anche il pilastro attorno al quale ricostruire il nostro ordinamento giuridico. Certo, l’ultima parola spetterà al legislatore. Ma come potrà il legislatore tirarsi indietro una volta stabilito che è in nome della dignità umana che nessuno può giudicare cosa possa essere o meno degno per un’altra persona, compreso l’accesso al suicidio assistito?

Commento:

Ripubblichiamo a mo’ di commento la proposta di legge sul suicidio condiviso che abbiamo formulato qualche tempo fa in questo stesso Blog (28 Febbraio 2017).

La proposta consiste sostanzialmente in questo: il suicidio assistito andrebbe depenalizzato come espressione del diritto a morire, ma al tempo stesso il ruolo del medico dovrebbe essere solo un ruolo di consulente con il contemporaneo incremento della responsabilità di coloro che condividono il proposito di rifiutare la vita.

Legge sul suicidio condiviso

Di Francesco Campione

Premessa (1)

1.    Lo Stato ha il dovere di difendere la vita degli individui che ne hanno la cittadinanza promuovendo il diritto alla vita (diritto alla nascita), il diritto alla crescita (diritto all’educazione e al lavoro), il diritto alla cura (diritto all’assistenza medica e alla solidarietà sociale), il diritto alla sopravvivenza contro tutte le forme di distruttività e di autodistruttività (il diritto alla sicurezza).

2.    Il rifiuto della vita in tutte le sue forme (dal rifiuto di essere nati ,al rifiuto di crescere e di curarsi fino al rifiuto delle terapie salva-vita e al suicidio) è un diritto della persona che non si può chiedere allo Stato di tutelare poiché configge coi suoi doveri.

3.    Quando il dovere dello stato di difendere la vita dei suoi membri configge con il diritto di questi di rifiutare la vita si manifestano i limiti dello Stato e i limiti della persona: lo Stato infatti ha bisogno del consenso delle persone per difendere le loro vite e le persone hanno bisogno che lo Stato si assenti perché sia tutelato il loro diritto di rifiutare la vita.

4.    La necessaria mediazione tra le due istanze può essere resa possibile se lo Stato si dimostra in grado di fare una legge che metta nella società in situazione di parità il diritto individuale di rifiutare la vita e il dovere statale di difendere la vita dei suoi membri anche contro loro stessi.

5.    Questa legge dovrebbe al tempo stesso depotenziare:

6.    a) la sovranità della volontà individuale che è l’organo attraverso cui si esprime e si legittima il diritto a rifiutare la vita, e che farebbe prevalere, se fosse assoluta, il diritto individuale di rifiutare la vita sul dovere statale di difenderla;

7.    b) la forza dello Stato che è l’organo attraverso cui si esercita il dovere di difendere la vita, e che farebbe prevalere, se fosse la forza di uno stato assoluto, il dovere statale di difender la vita sul diritto individuale di rifiutarla.

8.    Solo la legge dell’amore materno può fornire un’analogia per questa legge: una legge in grado, come l’amore materno, di suscitare una obbedienza alla vita non tramite una coercizione ma grazie al supporto e alla dedizione che la nutrono.

9.    Nessuno potrebbe rifiutare la propria vita di fronte a qualcuno che, come una madre, è pronta a donarla ad un altro perché viva.

10. Uno Stato così si dovrebbe esprimere in una legge siffatta: uno Stato che fornisce ragioni di vita tanto indiscutibili da guadagnarsi il diritto di esercitare il suo diritto di difendere la vita anche di fronte a chi la rifiuta!

 

Premessa (2)

1.    Il suicidio esprime (al pari del rifiuto dell’accanimento terapeutico) il diritto dell’individuo a rifiutare la vita. In quanto tale il suicidio in uno Stato libero va ammesso e tutelato.

2.    Di fronte al diritto dell’individuo a suicidarsi lo Stato ha anche il dovere di difendere la vita dei suoi membri da ogni atto di distruttività e autodistruttività. Dovere che deriva dal diritto individuale alla sicurezza che nessuna minaccia incomba sulla vita (e si anela ad essere difesi da se stessi non meno che dalle minacce esterne), e dal diritto della collettività di non essere minacciata dai comportamenti individuali distruttivi.

3.    Lo Stato deve dunque riuscire a tutelare due diritti che possono configgere allorché i rispettivi principi (il principio della libertà individuale e il principio della sicurezza individuale e collettiva) si pongono come assoluti.

4.    Ne deriva la necessità di una o più leggi che regolino questo conflitto in modo “giusto”, cioè facendo in modo che nella Società concreta del vivere quotidiano i due valori basilari della vita umana (libertà e sicurezza) interagiscano senza conculcarsi a vicenda.

5.    Una tale legge dovrebbe impedire sia l’assolutizzazione della volontà individuale (cioè l’espressione della libertà individuale) sia l’assolutizzazione della forza protettiva dello Stato (cioè l’espressione della sicurezza individuale e collettiva).

6.    Una tale legge dovrebbe in sostanza regolamentare in modo “giusto” tutte le forme di suicidio che configurino un qualche tipo di aiuto o di ostacolo da parte di altri membri dello Stato in cui si convive, determinando un conflitto tra la volontà individuale di uccidersi e la volontà collettiva di permettere od ostacolare che altri assecondi la volontà di uccidersi.

7.    Ne discende la seguente proposta di legge sull’eutanasia e sul suicidio assistito.

 

PROPOSTA DI LEGGE

Articolo 1.

Lo Stato italiano si impegna ad introdurre nei percorsi formativi del personale sanitario-assistenziale e del personale scolastico(medici, infermieri,psicologi, insegnanti,etc.)l’Educazione alla difesa della vita e alla Buona morte(morte senza dolore, con speranza e con senso) come parte determinante dei ruoli sanitari ed educativi. Lo Stato italiano si impegna in altri termini a perseguire lo scopo che condivide con tutte le società umane di prevenire il suicidio(in quanto atto autodistruttivo corrispondente alla pena e all’impossibilità di vivere),nel pieno rispetto della volontà individuale di rifiutare la vita,cioè senza mettere in atto modalità coercitive contro il suicidio ma cercando solo di proporre (tramite le istanze affettive, solidaristiche e di aiuto, presenti o da sviluppare) a coloro che,nel loro diritto, rifiutano la vita nuove ragioni per accettare un’esistenza che l’aiuto degli altri ha trasformato e reso più vivibile.

Nell’ambito di questo impegno sono da interpretare i due seguenti articoli.

Articolo 2 .

L’eutanasia attiva (intesa come insieme di atti medico-sanitari intenzionalmente volti ad anticipare la morte) va considerata una resa e non fa parte dei compiti di chi assiste .I sanitari che praticano l’eutanasia attiva commettono un reato punibile con una forte ammenda o con la sospensione temporanea dall’esercizio della professione.

Articolo 3.

Il suicidio medicalmente assistito( inteso come suicidio attuato con l’ausilio di tecniche mediche consigliate e /o guidate da personale sanitario)va considerato una resa e non fa parte dei compiti di chi assiste. Si può configurare come reato di “favoreggiamento del suicidio” punibile con una forte ammenda o con la sospensione temporanea dall’esercizio della professione.

Articolo 4.

Il suicidio esprime (al pari del rifiuto dell’accanimento terapeutico) il diritto dell’individuo a rifiutare la vita. In quanto tale in uno stato libero va ammesso e tutelato.

Lo Stato Italiano si impegna a tutelare il diritto di suicidarsi per coloro che non hanno riconosciuto come sufficienti le ragioni per vivere addotte da chi assiste, depenalizzando tutte le forme disinteressate di aiuto al suicidio.

E’ quindi depenalizzato:

1.    il suicidio attenuato (corrispondente al diritto di chi attua il proposito suicidiario di realizzare forme più dolci,attenuate appunto,di suicidio);

2.    b) il suicidio condiviso (corrispondente al desiderio di condividere il proposito suicidario e di essere aiuti nell’attuazione di esso).

Articolo 5.

Per coloro che volessero attuare un suicidio attenuato usando tecnologie mediche o farmaci si istituisce una commissione statale (la cui composizione è da definire) con il compito di istruire pubblicamente ogni caso di richiesta di uso di presidi medici a scopo di attenuazione del suicidio. Se il parere è favorevole (cioè se si costata che niente ormai può essere fatto per far recedere l’individuo dalla sua decisione di suicidarsi) si autorizza un tutore nominato dalla persona in questione a rivolgersi ad un medico che la commissione stessa autorizza a dare una consulenza medica sul modo di utilizzare autonomamente (il paziente e chi condivide con lui il suicidio ma non i sanitari) i presidi medici.

L’autore

Francesco Campione 

Tanatologo, Presidente Associazione Rivivere e Docente di Psicologia clinica e Psicologia della perdita e del lutto all’Università di Bologna