La fine della vita, il senso e lo spirito al tempo del coronavirus

 di Claudio Ritossa

In questi giorni di grande sofferenza, di morte come da tempo non si ricordava potesse accadere, la morte quotidiana, con numeri scanditi alle 18 di ogni giorno, mariti e mogli a pochi giorni di distanza, il paziente ed il medico che l’ha curato e l’infermiere che l’ha aiutato a tenere il casco con l’ossigeno, gli operatori del 118 che vivono nel suono ricorrente delle ambulanze risuonanti nella strade deserte, in questi giorni, molti scrivono, riflettono, fanno analisi delle fatiche psicologiche e sociali in atto e che ci attendono. Non so offrire analisi psicosociali, ma mi chiedo come si può affrontare il senso o il non senso di tutto questo, ci insegnerà qualcosa tutto questo? la vita tornerà come prima dopo settimane di quarantena, i funerali non celebrati, le morti annunciate per telefono senza poter salutare i propri cari? Dov’è lo spirito in tutto questo ?

Vorremmo trovare significati e consolazione, e tante volte non riusciamo. Per citare le parole di Papa Francesco pronunciate il 27.3 scorso nel commentare il Vangelo di Marco 4,35 “ la tempesta smaschera la nostra vulnerabilità”.

L’epidemia ci svela tutta la nostra fragilità, personale, sociale, economica e nella relazione con la natura. Mentre occupiamo tutto il tempo della nostra vita a cercare certezze e sicurezza siamo sbalzati a forza nell’incertezza e nell‘insicurezza. In realtà l’incertezza c’è sempre, cerchiamo di non vederla, ma questi giorni la svelano senza più possibilità di scampo.

Cerchiamo di attribuire sensi alle cose che accadono, e molto probabilmente non ci riusciamo, e cerchiamo sostegno e allora vediamo così rinascere il pregare, tutti insieme, o meditare online, con centinaia di gruppi e di centri che si organizzano per sentirsi insieme presenti e vicini, lontani ma non separati.

Dov’è lo spirito in tutto questo ?

Ogni giorno lo vediamo, nei mille gesti di migliaia di persone, ogni giorno qualcuno è disposto ad accogliere le “mille grida del mondo”,  ogni giorno qualcuno si offre di fare il pane per qualcuno che non può uscire, ogni giorno infermieri vestiti come palombari cercano di portare una parola a persone chiuse in stanze cariche di dolore senza poter vedere i propri cari, portano un telefono con qualche fotografia inviata da casa, ogni giorno qualche medico trova un modo per comunicare meglio che po’, magari senza averlo mai fatto prima, che una persona che una persona è morta, o va a trovare i suoi pazienti a casa, anziani che decidono di non andare più in ospedale e di morire a casa per mantenere il contatto con i propri cari, ogni giorno migliaia di volontari portano la spesa a casa a persone costrette nelle loro abitazioni di pochi metri quadri. E tanti continuano il loro lavoro nonostante la paura del contagio, ci portano il cibo, le medicine, i pacchi, la posta. Si scopre che la trascendenza è qui, nell’essere presenti all’altro, nel superare le barriere costruite dalle abitudini, nell’andare oltre le paure, nel trovare parole di consolazione per gli sconosciuti riconoscendo il la nostra comune umanità in ogni volto.

E le paure sono tante, soffrire, essere soli, vivere costretti in casa in relazioni difficili, perdere qualcuno, non farcela ad arrivare a fine mese, ammalarsi, morire.

Paure talvolta esaltate da immagini ed eccesso di notizie, ma realistiche, concrete, ci sono paesi dove nessuna famiglia è rimasta indenne, come in Val Seriana, da dove sono partiti i camion militari con le bare perché i forni crematori di Bergamo non potevano reggere il numero di persone decedute.

E più che mai sorgono le domande, quelle fondamentali, “perché accade?”, “cosa accadrà?” “perché Dio permette tutto questo?”

Le domande che gli umani si fanno da sempre. Ciascuno, secondo la sua fede/fiducia forse trova una risposta. Ma anche quando “la risposta, amico mio, è nel sussurrare del vento”, qualcosa di profondo, saldo e quieto talvolta si trova. Qualche volta una speranza fondamentale che poggia sullo spirito permette di riposare, anche nel mezzo delle difficoltà. Proprio nel mezzo delle difficoltà scopriamo che c’è una bontà innata in noi, che c’è spazio per una compassione senza limiti, anche in chi non pensava che fosse disponibile per sé e per l’altro. Lo spirito è qui, in questa compassione che vede le sofferenze di tutti e non si fa travolgere, ma opera per sollevarle. Di questa compassione più che mai avremo bisogno tutti, per noi e per gli altri. Per coloro che non sono riusciti a salutare i propri cari, per quei medici e infermieri che hanno visto morire impotenti tanti volti, per quegli anziani già soli che hanno perso i compagni della vita, i genitori che hanno perso i figli, i figli che hanno perso entrambi i genitori in pochi giorni.

Possiamo iniziare a scoprirla adesso, nel mezzo della tempesta. Scoprire la possibilità della gentilezza, della generosità, in ciascuno di noi. Scoprire senza più dubbi che siamo legati da fili sottili gli uni agli altri, nel mondo intero.

Ciascuno può essere un bodhisattva, quella figura del buddismo che con coraggio, compassione e saggezza vive per sollevare la sofferenza. Lo possiamo fare ogni giorno, anche solo nei gesti quotidiani, compiuti con attenzione, e nel ricordare, cioè nel riportare al cuore coloro che amiamo, coloro che incontriamo con la mascherina al supermercato, coloro che non conosciamo e che compiono l’ultimo viaggio su un camion militare. Ogni gesto compito con cura porta più cura nel mondo intero. Siamo lontani, ma non siamo separati.

Lo spirito è qui. 

L’autore

Claudio Ritossa, medico, già operante come chirurgo e quindi medico di cure palliative, praticante di yoga. Collabora con  “Anemos, curando s’impara”, ente di formazione in sanità, Responsabile organizzativo di Luce per laVita onlus (Cure Palliative).Segue gli insegnamenti di Frank Ostaseski (mettainstitute.org) e di Jean Yves Leloup.Si è formato come istruttore dei protocolli Mindfulness Based Stress Reduction  con AIM (Associazione Italiana Mindfulness).