VERITA’ ILLUMINATE DALLA SOFFERENZA
p. Arnaldo Pangrazzi
Quando una malattia grave irrompe nella vita, è come se un terremoto scuotesse le fondamenta della propria casa o una valanga travolgesse le proprie certezze. Una diagnosi infausta sprigiona una miriade di interrogativi sulla propria progettualità futura e rivela i volti della propria umanità ferita. All’ombra della sofferenza può emergere, gradualmente, un quadro di verità che, se integrate positivamente, ispirano i protagonisti a vivere meglio la preziosità del tempo e a dare un senso diverso ai propri patimenti.
Il labirinto di una diagnosi infausta può partorire le seguenti verità e consapevolezze:
La caduta dell`illusione di immortalità
Nel racconto biblico della Genesi, Adamo ed Eva ambivano ad essere immortali, per non fare i conti con la propria fragilità. Nascosto in ogni uomo c`è un segreto bisogno di vivere eternamente. In particolare, chi è giovane si sente più grande della vita e culla l`illusione di una falsa immortalità. Nell’adolescenza si pensa che a morire siano i vecchi e i malati. Questa illusione si sgretola dinanzi alla tragica morte di un amico in un incidente stradale o dinanzi alla rapida dipartita di un coetaneo, colpito da una leucemia. Gandhi diceva che “L`uomo è uno scolaro e il dolore è il suo maestro”; in altre parole il banco di scuola sono le prove della vita da cui imparare la lezione della propria vulnerabilità e precarietà.
La transitorietà della vita
Siamo pellegrini, non padroni della vita. “Panta rei” (= tutto passa), dicevano i greci. La Chiesa ricorre all`immagine del “Popolo in cammino” per richiamare l`esodo di Israele, prendere coscienza sulla transitorietà dell`esistenza e inculcare nelle persone l`impegno a produrre frutti di opere buone, nel tempo concesso a ciascuno. A volte, basta un male improvviso, una caduta o una svista propria o altrui per richiamare bruscamente e drammaticamente il senso di impermanenza e provvisorietà di ogni certezza.
Il legame “con” e dipendenza “da” altri
Nessun uomo è un`isola. Tutti siamo debitori di gratitudine verso quanti ci hanno trasmesso la vita, ci hanno amato e ci hanno insegnato ad amare. Il peregrinare quotidiano è un richiamo costante del bisogno reciproco, della necessità di una sana interdipendenza, per realizzare la progettualità personale. Più da vicino, gli eventi del nascere e del morire evidenziano il profondo e fondamentale bisogno dell`essere umano di calore e sostegno, per non sperimentare l`emarginazione e l`abbandono.
La condizione di limite e precarietà del corpo
L`uomo moderno è assillato dal bisogno di apparire e conservarsi giovane. Un`infinità di riviste, terapie, centri specializzati in erboristeria ed omeopatia si sono diffusi a macchia d`olio per promuovere e salvaguardare il bene grande che è la salute. Ma anche il corpo invecchia. Ci si può adoperare per mantenerlo in forma il più a lungo possibile, ma non si riesce ad evitarne il graduale processo di logorio ed invecchiamento. Il corpo è figlio della natura e la natura è imperfetta, soggetta alla malattia, destinata alla morte.
L`anelito ad una vera immortalità
L’invecchiamento del corpo, la caducità dei beni, la conclusione dei rapporti, la perdita delle facoltà fisiche o mentali, interpellano l`uomo ad una lettura della storia che oltrepassi le leggi della finitudine e della temporalità, per proiettarsi verso una visione trascendentale. L’autore russo Vladimir Nabokov scriveva: “La vita è una grande sorpresa. Non vedo perché la morte non potrebbe esserne una anche più grande”. La fede prospetta un orizzonte in cui l`anelito all’ immortalità trova la piena realizzazione, nell`incontro della creatura con Dio. Per il cristiano l`orizzonte della speranza è centrato sul mistero di Cristo, morto e risorto, premessa di risurrezione per quanti credono in lui: “Io sono la risurrezione e la vita; chi crede in me, anche se muore, vivrà; chiunque vive e crede in me, non morrà in eterno” (Gv. 11,25).
La consapevolezza della propria dipendenza da Dio
La malattia non è solo invito a fare pace con i propri limiti, ma invito ad aprirsi ad una realtà più grande di sé. La creatura è veramente se stessa nella misura in cui si relaziona con il proprio Creatore. Una sana dipendenza da Dio non mortifica la creatura, ma la rende più saggia ed aperta alla sua grazia, per realizzare pienamente la propria missione.
L`invito a praticare le Virtù
L’incontro con la sofferenza è una chiamata ad onorare ed a testimoniare quelle virtù che danno spessore e valore al proprio esistere, operare e comunicare. Il solco di vita che ognuno traccia è un quotidiano appello ad essere fertili, a produrre gesti che testimoniano la forza della fede, il calore della carità, il dinamismo della speranza. Tra le virtù che fioriscono all`ombra di una grave malattia spiccano il coraggio, la pazienza, l`altruismo, la perseveranza.
La sfida a riconciliarsi con la propria impotenza
C`è una lezione che non si impartisce mai in una facoltà di medicina né in una scuola di infermiere o in un seminario per la formazione dei sacerdoti, e questa riguarda il tema di “Come convivere con la propria impotenza”. L`uomo, tendenzialmente, si sente in colpa dinanzi alla propria impotenza, ne cerca affannosamente una via d`uscita, si adopera per esercitare un po` di controllo sugli eventi esterni. Cercando di “fare qualcosa”, si illude di superare il disagio di “stare con qualcuno”.
Eppure al centro della storia cristiana si erge, umile e maestosa, la figura di Maria ai piedi della croce. È l`immagine di una madre impotente, impedita a staccare dalla croce il Figlio, incapace di porgergli un po` d`acqua per lenirne la sete. Non è una Madre risentita, che impreca e si adira contro gli aguzzini, non è una madre isterica per l`immenso strazio causatole. È lì in silenzio, dignitosa, per rappresentare l`amore presente.
Digerire le verità della vita
La morte è il tramonto della vita e ne è l’unica certezza. Prendere tempo per ruminare questa verità favorisce un rapporto meno tortuoso e più sereno con l’inevitabile che ci attende. La tappa conclusiva dell’esistenza è, per tutti, intrisa di mistero: nessuno sa come e quando avverrà la propria morte, le sue cause, i fattori circostanziali, la presenza o meno di persone care, l’atteggiamento assunto dinanzi a questo evento.
È, tuttavia, importante che l’ultimo capitolo della storia non sia scritto dalla prigione della solitudine e dell’abbandono, ma confortati da presenze umane che facilitino l’attraversamento dell’ultimo ponte, in vista di aprirsi al mistero dell’eternità.
p. Arnaldo Pangrazzi
L’autore
Prof. Arnaldo Pangrazzi, Professore Straordinario e Docente di Pastorale sanitaria e di Clinical Pastoral Education (CPE) presso l’Istituto Internazionale di Teologia Pastorale -Camillianum – di Roma