EBRAISMO

L’escatologia

La «rivificazione dei morti» (Techijatha-metim) è un articolo fondamentale nella fede rabbinica, che presenta tuttavia interpretazioni molteplici. Per il carattere particolare della teologia rabbinica, le opinioni non sono interdipendenti né tantomeno organizzate in modo unitario; mai è stato compiuto un tentativo serio per dare coerenza alle varie concezioni. Così la rivificazione può essere intesa alla lettera o come conservazione della personalità, ossia dell’anima e dello spirito, che fanno ritorno alla loro origine divina. Nell’Antico Testamento si trova spesso la concezione antico-orientale di un regno delle ombre, abitato dai morti, in ebraico Sheol (Isaia 14,9ss.; Ezechiele 32,21ss.). Nella Bibbia si ricordano anche persone, come Enoc ed Elia, che si presentarono a Dio pur essendo ancora in vita. La fede nella risurrezione sembra già attestata nel Deuteronomio, dove è detto: «sono io che do la morte e faccio vivere» (Deuteronomio 32,39); in Isaia, quando è detto: «ma di nuovo vivranno i tuoi morti, risorgeranno i loro cadaveri; si sveglieranno ed esulteranno quelli che giacciono nella polvere, poiché la tua rugiada è rugiada luminosa: la terra darà alla luce le ombre» (Isaia 26,19); nel Primo libro di Samuele, quando è detto: «il Signore fa morire e fa rivivere, fa scendere nello Sheol e fa risalire» (1 Samuele 2,26); in Ezechiele, nel capitolo 37, quando c’è la visione delle ossa morte che si ricompongono e l’ordine divino a Ezechiele di profetizzare alle ossa e di chiedere che lo spirito ritorni in loro; nel libro di Giobbe: «dopo che questa mia pelle sarà distrutta, Senza la mia carne vedrò Dio» (Giobbe 19,26).

Il Salmo 43 (44) e il Salmo 72 (73) affermano che i malfattori sono destinati allo Sheol e che le anime dei devoti Salgono a Dio. Molto diffusa era la fede nella risurrezione degli ebrei pii alla comparsa del Messia per partecipare alla benedizione di Israele, così in Is. 26,19 (IV sec. a.C.). Ma Deuteronomio 12,ss, (verso il 165 a.C.), che contiene il passo forse più significativo sulla resurrezione, la estende anche ai malvagi che verranno condannati alla Vergogna eterna nel giudizio, mentre i buoni vivranno in eterno.

Anche nell’ambito dell’escatologia, alcune tappe segnano il cammino della comprensione dell’uomo ebreo: infatti dalla visione biblica di una realtà esistenziale chiamata Sheol, si è arrivati alla elaborazione di prospettive di giudizio post-mortem – cielo (Gαη Eden) e inferno (Gehenna), seguite da una risurrezione generale in un «mondo a venire» (Olam HaBa), dove il Messia riunirà lo spirito e il corpo del fedele.

Si può tentare una spiegazione della visione escatologica rabbinica che tenga conto delle molteplici interpretazioni esistenti. Quando un uomo muore, l’anima lascia il suo corpo, ma per i primi dodici mesi mantiene con esso un legame, fino a quando il corpo non si decompone. Questo tempo rappresenta un periodo di transizione per l’anima. In base a un’interpretazione, trascorso tale periodo i giusti vanno nell’Eden e i malvagi nella Gehenna; secondo un’altra, tutti rimangono «sospesi» per un periodo che è, al massimo, di dodici mesi per i più malvagi. Dopo saranno riuniti nello «scrigno del mondo futuro», in attesa della sorte definitiva. Anche rispetto alla consapevolezza che le anime mantengono di sé e del mondo che hanno lasciato, le opinioni sono variegate. È diffusa la convinzione che «nella sorte definitiva non vi sarà dannazione eterna»: tale affermazione si trova in molti trattati del Talmud. Rav, un grande rabbino babilonese vissuto all’inizio del III secolo, affermava che l’esistenza dell’uomo nel mondo venturo è completamente diversa da quella di questo mondo: là non vi è cibo, né bevande, né procreazione, né commercio, né gelosia, odio o lotte. Tutto ciò che i giusti fanno è di sedersi con le corone in capo e di bearsi dello splendore della Maestà Divina.

La concezione di Rav è condivisa dalla maggior parte dei maestri: il mondo a venire è esclusivamente un mondo di anime e di pura gioia spirituale. Un’ultima osservazione per quanto riguarda la figura del «giusto». Sono considerati «giusti» coloro che hanno osservato i Sette precetti che il Signore ha dato a Noè uscito dall’Arca: riconoscere che Dio è uno, non essere blasfemi, non versare sangue umano, non commettere adulterio o incesto, non commettere rapine, non strappare arti da animali vivi per cibarsene, istituire tribunali che giudichino tutti indistintamente con la stessa misura.

Infine, per quanto riguarda lo stato di «beatitudine» , esso non deve essere considerato un privilegio, quanto piuttosto un dono ottenuto secondo i propri meriti. La resurrezione dei corpi dipende esclusivamente dalla volontà del Creatore: avverrà quando Egli vorrà, indipendentemente dalla venuta del Messia, anche Se nella Tradizione si è attestato che il miracolo avvenga proprio allora. E al termine di questa seconda vita che i giusti andranno nel mondo futuro: gli altri scompariranno, perché non hanno compiuto il loro dovere di elevarsi con l’intelletto attivo per il miglioramento di se stessi. Dio ha creato un mondo «perfettibile» per dare all’uomo il merito di collaborare con lui. Come già ricordato, una massima dei Padri afferma: «Questo mondo è come un’anticamera per il mondo futuro: preparati nell’anticamera per il mondo futuro: preparati nell’anticamera per poter entrare nel salone».

Nel Talmùd la fede nella risurrezione viene elevata ad articolo di fede indiscutibile. Chi non vi si attiene non prenderà parte alla risurrezione (Mishnàh, Sanhedrin, X,1). D’altro canto, il fatto che la risurrezione sia possibile, il defunto lo deve a un piccolo osso immarcescibile della sua colonna vertebrale (lus); questo è uno dei I motivi per cui l’Ebraismo si oppone alla cremazione dei cadaveri. Nella liturgia le idee escatologiche hanno sino a oggi un ruolo importante. Nell’importante preghiera Shemonèh-Esrèh, con le sue diciannove benedizioni (in origine diciotto), si prega per il «raduno dei dispersi», la «riedificazione di Gerusalemme» e la «venuta del discendente del tuo servo Davide».

 

Testo provvisorio, tratto da:
“Massimo Petrini: Il dialogo religioso al letto del paziente, Edizioni Erickson, Gardolo 2007.”