Camille Saint-Saëns (1835 – 1921)
Danse Macabre op. 40
National Philharmonic Orchestra, Leopold Stokowski
https://www.youtube.com/watch?v=p1aj-Z8iOMw
Il parigino Camille Saint-Saëns fu uno dei bambini prodigio più dotati di tutti i tempi; iniziò lo studio del pianoforte a due anni, a tre anni sapeva leggere e scrivere e a sette tenne il suo primo concerto suonando, per analogia di prodigi, musiche di Mozart. Fu organista e didatta di grande fama, nel 1870 fu arruolato per la guerra franco-prussiana, esperienza che lasciò un segno indelebile nella vita e nell’opera di Camille. Personalità eclettica e coltissima, fu anche un eccellente matematico, viaggiò a lungo in tutto il mondo per stabilirsi alla fine ad Algeri, dove morì di polmonite il 16 dicembre 1921.
La sua opera più famosa è senz’altro Il Carnevale degli Animali, che contiene il celeberrimo “Cigno” per violoncello e pianoforte. La Danse macabre op. 40 nacque come brano cantato; la versione strumentata per orchestra venne eseguita la prima volta a Parigi nel 1874.
La danza macabra è un tema iconografico tardomedievale nel quale è rappresentata una danza fra uomini e scheletri: ai tempi della grande peste del 1348, quando la morte entrò in tutte le case europee, divenne un modo scaramantico e grottesco, quasi compiaciuto, di affrontare il tema della morte. Una sorta di “memento mori” popolare che a volte veniva utilizzato in maniera dissacrante per prendersi gioco delle gerarchie sociali dell’epoca ricordando che, di fronte alla morte, i potenti avrebbero comunque fatto la stessa esperienza del popolo.
Saint-Saëns utilizzò come testo un poemetto di Henri Cazalis (1840 – 1909) ispirato alla celebre ballata di Goethe “Totentanz”. Si tratta di una vera e propria danza, un valzer veloce che mantiene lo spirito sarcastico e quasi catartico dell’iconografia medievale. Descrittivismo allo stato puro, con il violino scordato che richiama la morte nell’inizio un po’isterico e che poi, pian piano, si addolcisce.
Verso la fine improvvisamente si arresta tutto. Si sente solo un oboe, che rappresenta il canto del gallo, ovvero l’alba. Un rabbioso colpo di timpani segna la fine della danza e la Morte, vinta dall’arrivo della luce, suona il tema conclusivo con il suo violino.
«I raggi della luna filtrano a intervalli fra nuvole a brandelli. Dodici cupi rintocchi risuonano dal campanile della chiesa. Svanito l’ultimo di essi, si odono strani rumori dall’attiguo cimitero, e la luce della luna investe una fantomatica figura: la Morte, che suona il violino, seduta su una pietra tombale. Si odono strida dai sepolcri circostanti e il vento ulula fra le cime degli alberi spogli. Le note sinistre dello scordato violino della Morte chiamano i morti fuori dalle tombe; e questi, avvolti in bianchi sudari, volteggiano attorno in una danza infernale. La quiete del sacro recinto è distrutta da grida sorde e risa orribili. La ridda degli scheletri, col rumore secco delle ossa, diviene sempre più selvaggia, e la Morte, nel mezzo, batte il tempo col suo piede scricchiolante di scheletro. Improvvisamente, come presi da un sospetto terribile, i morti si arrestano. Nel vento gelido si sentono le note della Morte. Un fremito percorre i ranghi dei trapassati: i teschi sogghignanti si rivolgono in ascolto verso la pallida luna. Ma le note stridenti della Morte di nuovo rompono il silenzio, e i morti riprendono a danzare più selvaggiamente di prima. L’ululo del vento si unisce al coro dei fantasmi, gemendo fra i rami nudi dei tigli. D’improvviso la Morte smette di suonare, e nel silenzio che segue si ode il canto del gallo. I morti si affrettano verso le tombe e la fatale visione svanisce nella luce dell’alba.»