di Francesco Campione

Riproduciamo il testo scritto di un’intervista che è visibile anche su Youtube collegandosi al sito: www.tierranuoverotte.it

Intervista all’Autore da parte del Festival Tierra sul libro: Francesco Campione- La resilienza ai tempi del coronavirus-Taita press, Bologna,2020

Perché è necessaria una cura non solo per il fisico ma anche e soprattutto per l’anima?

Ho scritto durante la pandemia per cercare di dare un mio contributo,uno dei pochi libri di psicologia sulla situazione che stiamo vivendo:La resilienza ai tempi del coronavirus(Taita press Bologna).Illustrerò oggi brevemente gli argomenti principali che vi sono trattati alla luce dell’esigenza di umanizzazione che anima il convegno.

I.Si rivela necessaria anche una cura dell’anima oltre che del corpo.

Se l’anima è  l’insieme di tutto ciò che “anima” e dà un senso alla vita di ciascuno di noi( bisogni, emozioni, sentimenti, desideri e pensieri),non è possibile prendersi cura del corpo considerandolo solo nella sua realtà di organismo biologico.Se arriva un virus che ci può contagiare minacciando di farci ammalare e talvolta morire e abbiamo bisogno di cure, non riusciremo  a curarci adeguatamente ,e nessuno riuscirà a prendersi cura di noi nel modo giusto, senza tener  conto della nostra anima .L’abbiamo potuto constatare durante la prima ondata della pandemia e continuiamo a constatarlo anche nella seconda.

 Facciamo qualche esempio:

I.La “cura” per prevenire il contagio riuscendo ad attuare le misure prudenziali generiche e standard( lavaggio mani, distanziamento sociale, uso  mascherine) o addirittura l’evitamento del contagio che implica chiudersi in  casa, sarà qualcosa di diverso a seconda dei nostri bisogni(bisogno maggiore e minore di lavarsi, bisogno maggiore o minore di “toccare” gli altri o di comunicare con tutta la mimica facciale);

II. La “cura” per prevenire il contagio attuando misure prudenziali particolari(ridurre la vita sociale evitando gli assembramenti o mettendo la mascherina anche in casa) dipenderà dalle paure che abbiamo(paura di ammalarci e morire o paura di non essere accettati dai compagni se evitiamo di andare agli aperitivi o alle feste) e da come ce le gestiamo, queste paure (ad esempio pensandole come paure da evitare perché non possono essere vinte o  come  paure da sfidare perché pensiamo di poterle vincere);

III.La “cura” per affrontare la paura dei cambiamenti e dell’ignoto( derivante dall’incertezza su  come andrà a finire)  riuscendo a convivere col virus per il tempo necessario a vincerlo senza  smettere di vivere durante la pandemia, dipenderà dalla forza in noi  del desiderio che vada bene nel futuro ,cioè dalla capacità di affrontare le paure e  i bisogni che sorgono andando incontro a ciò che non si controlla con un’atteggiamento di domanda e di ricerca del bene.

In sostanza, se ci viene richiesto, per curarci  durante la pandemia, un modo di pensare, di sentire e di comportarci che fa parte della nostra identità, saremo resilienti di fronte alla situazione e potremo “curarci” da soli.Se invece ci viene richiesto di cambiare i nostri modi di pensare, sentire e comportarci, la nostra “anima” può andare più o meno profondamente in crisi e può sorgere il bisogno di essere aiutati psicologicamente(da professionisti o da chi ha a cuore il nostro destino ed è più saggio di noi per profondità di pensiero o per esperienza) a trovare vie nuove per essere resilienti di fronte al male.

Il libro inizia con la definizione di resilienza, cosa vuol dire esser resilienti in generale e in particolare di fronte al coronavirus?

II.Ma cosa vuol dire essere resilienti in generale e in particolare di fronte alle situazioni  di crisi determinate dalla pandemia?

Essere resilienti in generale significa avere le risorse(biologiche , psichiche e spirituali) per affrontare e superare una situazione di crisi, e consiste fondamentalmente nell’avere sufficiente resistenza per non esserne distrutti, sufficiente elasticità per fare i cambiamenti(esteriori e interiori) necessari per superare la crisi,sufficiente pazienza per sopportare di non riuscirci per il tempo necessario a riuscirci.

Se consideriamo in particolare le risorse necessarie per affrontare e superare le crisi determinate dalla pandemia da coronavirus, possiamo dire di essere di fronte ad una situazione che ,pur avendo le sue peculiarità , è qualitativamente simile a quella di qualunque altra crisi ma necessita per essere resilienti di una risorsa scarsa in una cultura come la nostra basata sul tentativo di prevedere ogni futuro possibile: scarseggia la particolare forma di pazienza che serve di fronte alle crisi che determinano incertezza perché non si sa come andranno a finire.

Ripeterò qui quasi alla lettera, per essere preciso, le parole del mio libro:

La resilienza aggiuntiva necessaria di fronte ad un futuro ignoto come quello che ci prospetta la pandemia e che certi filosofi( Petrosino) distinguono dal futuro tout court chiamandolo avvenire perché non prevedibile, consiste nell’apprendere la pazienza come  passività, la pazienza di chi si assume la responsabilità di ciò che gli “tocca” qualunque cosa sia. Si tratta di una forma di “sopportazione” che si acquisisce tutte le volte che si continua a desiderare qualcosa che ci potrebbe volere un tempo infinito per raggiungerla, senza cioè che sia possibile scorgere alcuna via attiva che consenta di arrivarci con certezza e non resta che desiderarlo e tendervi passivamente, senza potersi aspettare  niente ,disinteressatamente.

Ad esempio, ora che siamo entrati nella seconda ondata della pandemia, la pazienza di prima alimentata dalla certezza che ce l’avremmo fatta o ce la stavamo facendo,non basta più ,i governanti ci dicono di pazientare ancora 8-12 mesi ma la nostra pazienza è finita e la maggior parte di noi continua a ripetere che “non ne può più”.Avremmo bisogno di una pazienza infinita proprio come quella passiva che deriva dal riuscire a desiderare che finisca  bene a prescindere dal sapere se ci si riuscirà .Perchè solo questo è ora il bene di fronte al male dell’epidemia e delle sue nefaste conseguenze, le quali non si sa se e quando cesseranno o se non torneranno con un’altra pandemia dopo di questa.La pazienza  non può finire(ecco ciò che bisognerebbe apprendere) quando è attesa benefica e speranzosa di qualcosa di indefinito nel tempo, quando è desiderio infinito del Bene che nessun insuccesso è in grado di spegnere. Una possibilità umana non molto sviluppata( a parte nei santi, nei buoni, nei giusti e nei saggi) ma di cui la nostra anima è capace solo se ne ha ricevuto ispirazione da un’anima più matura.

Rimando alla lettura del mio libro chi volesse approfondire questo fattore di resilienza che abbiamo chiamato pazienza come passività.

III.Una domanda più semplice a cui ho cercato di rispondere nel mio libro è: come si diventa resilienti di fronte alle paure determinate dalla pandemia ?

Un altro concetto fondamentale all’interno del libro è la paura,ne vengono distinte tre tipologie e ad ognuna di queste corrisponde un tipo di resilienza che ci permette di affrontarle e superarle.

I tre tipi di paura che ho indicato nel libro sono:

  1. la paura che non si trovi alcun rimedio per fermare la pandemia, paura  che equivale per tanti alla paura di ammalarsi e di morire e per tanti altri alla paura della fine del mondo;
  2. la paura di perdere il controllo di sé e  degli scopi della propria vita cadendo nel panico;
  3. la paura di come andrà a finire cioè dell’ignoto.

Di fronte  paura che non ci sia rimedio alla pandemia e moriamo tutti o possa morire io, divento più resiliente  incrementando le conoscenze che fanno sperare, divento meno resiliente incrementando le conoscenze che scoraggiano.

Donde l’importanza,anche etica, della politica delle informazioni che si danno sull’andamento della pandemia:se so che abbiamo fatto progressi resisto di più, sono più elastico e ho più pazienza;se,invece ricevo informazioni  negative relative, ad esempio, all’insuccesso di una terapia o al ritardo nella messa punto del vaccino, la mia resistenza, la mia elasticità e la mia pazienza diminuiscono.

La resilienza aumenta naturalmente anche attraverso la partecipazione diretta alla ricerca dei rimedi per vincere la pandemia(come accade per i medici, gli infermieri, gli scienziati, i governanti ,i parenti che assistono i malati in casa,etc)

Di fronte alla paura di non poter essere se stessi o di perdere il controllo delle proprie emozioni o della propria vita ( ad esempio dovendo rinviare i progetti di vita importanti come sposarsi, fare l’università all’estero, fare un figlio.etc.), si diventa più resilienti ;1)se si continua a fare la propria vita anche durante la pandemia e se si hanno piani alternativi (anche da “sognare” od immaginare) a quelli principali qualora fosse impossibile realizzare questi ultimi; 2)se si mettono in atto difese emotive efficaci per non essere travolti dalle emozioni negative come rabbia e colpa(ad esempio trasformando la rabbia in energia per lottare contro il male e aumentare la propria autostima; oppure condividendo con gli altri le colpe personali e alimentando così il dovere di collaborare ) ;3) se  ,non riuscendo a praticare nessuna delle due alternative precedenti, si imboccano vie di “distrazione” palliative del disagio o gratificanti per continuare a perseguire almeno lo scopo di non sentirsi troppo male o di sentirsi bene nella propria pelle.

Di fronte alla paura dell’ignoto la resilienza aumenta se invece di limitarsi  a combattere un male che, come quello della pandemia ,non si sa ancora come combattere, ,si continua a desiderare   il bene(che tutto vada bene anche di fronte ad un male ignoto)cercando di vivere la sua incertezza come possibilità del bene che si desidera.Si ospita il male,perchè ci “tocca”,ci si rende responsabili del suo incerto esito e così si può desiderare che vada bene senza curasi di sapere come andrà, e quindi potendo, nel frattempo ,fare altro bene invece che cercare solo di superare un male il cui esito è ignoto , e non è escluso possa trasformarsi in un bene.

E’ la formula che ho usato nel mio libro: ospitare il male per trasformarlo in bene!

Ad esempio, mentre si aspetta di sapere se e quando la pandemia sarà vinta ci sono tutti quelli che stanno morendo di fame, perché non possono più chiedere l’elemosina,perchè  hanno perso il lavoro o lo stavano cercando e certo non lo troveranno ora; ci sono tutti coloro che vanno nel panico o si ammalano di depressione o sono stati traumatizzati da qualche evento determinato dalla pandemia(che potremmo essere anche noi se siamo in crisi per ciò che sta accadendo e non sappiamo che fare)!

Ci sono da aiutare tutti costoro e nel frattempo che si combatte per vincere la pandemia si può far del bene a loro.Ciò dà senso all’attesa passiva del desiderio disinteressato che la pandemia possa essere vinta, incrementa la pazienza come passività,  e il male impossibile da superare non trionfa incoraggiandoci.

Un altro concetto sul quale insiste nel libro è l’importanza di fare del bene agli altri per fare del bene anche a se stessi.

IV.La resilienza derivante dalla solidarietà

Che succede psicologicamente quando nella pandemia che ancora non si vince qualcuno invece di “fissarsi” a voler vincere subito il contagio o  di “distrarsi” pensando a stare bene per sé in qualche festa o con qualche aperitivo, sopporta senza troppi egoismi ciò che gli tocca sopportare e intanto fa un pò di bene possibile agli altri?Può  succedere che il bene donato a qualcuno gliene ispiri un pò anche per noi e potremo realizzare  forme di umanità e di socialità solidale ben più profonde di quelle superficiali e talvolta malevole e invidiose della cui perdita tanto ci rammarichiamo da quando il timore del contagio ci distanzia socialmente dagli altri.

5.Si indicano nel libro diverse vie di resilienza per chi combatte il virus in prima linea(medici,infermieri, governanti , membri dei comitati scientifici,volontari,caregivers,lavoratori dei servizi essenziali,etc.)e  per chi soffre perché è malato o ha legami con un malato e per chi è nelle retrovie(in casa, per strada o al lavoro). Come possiamo incrementare le risorse di ciascuna situazione?

V.Si indagano poi le vie specifiche di resilienza:per chi combatte in prima linea( medici, infermieri,governanti, membri dei comitati scientifici, lavoratori dei servizi essenziali,etc.),per chi soffre in ospedale ,in casa, per strada , a scuola, al lavoro,etc..Come possiamo migliorare la resilienza in ciascuna di queste situazioni?

Rispettivamente e schematicamente:

A) La resilienza di chi è in prima linea migliora se:

1.Si studia(non limitandosi a guardare la televisione o a leggere i giornali) per saperne il più possibile e ottenere una maggiore efficacia nella lotta contro il virus pandemico;

2.Si rafforzano tutti i mezzi di espressione e  di controllo delle emozioni per gestire lo stress inevitabile ed evitare l’ansia eccessiva o il panico;

3.si cerca di dare un senso a ciò che sta accadendo  a prescindere sia da ciò che si sa che dalle emozioni individuali, allo scopo di guardare oltre i successi o gli insuccessi immediati verso un orizzonte che la lotta contro il virus apre per tutti.

In altri termini ,si regge di più lo stress ,si è più elastici adattandosi meglio e si ha più pazienza per gestire il tempo necessario a risolvere i problemi, se si è abbastanza informati per sapere che possiamo farcela, se si sta calmi abbastanza per affrontare bene le situazioni e se si desidera andare da qualche parte come accade quando si dà una senso( cioè una direzione )alle proprie azioni.

Per ottenere il primo scopo (maggiore efficacia nella lotta contro la pandemia)e avere le risorse per gestire la guerra contro il virus molto importanti sono i governanti nella misura in cui forniscono ,ad esempio ai sanitari, i mezzi(posti letto, mascherine attrezzature,etc.) necessari. I governanti devono a loro volta ,per potenziare la loro resilienza, avere l’appoggio dei cittadini e la collaborazione degli oppositori altrimenti la loro resilienza ovviamente si indebolisce.

Per ottenere il secondo scopo(gestire le emozioni) e avere le risorse personali che rafforzano la resilienza molto importanti sono gli psicologi di supporto ai sanitari e ai governanti, perché come “soldati” in prima linea possano continuare a sentirsi se stessi nella complessa situazione che stanno affrontando e non essere travolti da emozioni incontrollate(stress,aggressività, impotenza, panico,etc.).

Per ottenere il terzo scopo( avere un orizzonte di senso), molto importanti sono le filosofie e le religioni che possono suggerire significati da attribuire all’epidemia da coronavirus e indicare così una direzione necessaria per andare oltre gli insuccessi verso mete future.Ad esempio, potremo  pensare: che  la pandemia da coronavirus significa che siamo nelle mani della Divinità e potremo pregare sentendoci più forti; oppure che la pandemia impone all’Umanità la necessità di risolvere un problema che non ha ancora risolto e così lottando contro il virus potremo cercare di risolvere questo problema e potremo gestire meglio gli alti e bassi del controllo del virus.

Come si può constatare finora lo Stato ha fatto e sta facendo sforzi importanti per raggiungere lo scopo di una maggiore efficacia nella lotta contro il virus, molto meno o quasi nulla ha fatto(nonostante le voci accorate degli psicologi, dei filosofi e dei religiosi) per raggiungere lo scopo di una migliore gestione dei mondi soggettivi personali o quello di dare un orizzonte all’impegno per essere efficaci e per rimanere sé stessi lottando contro il virus.

B) La resilienza di chi è nelle “retrovie” e deve gestire la propria malattia e quella dei cari oppure la propria esistenza in casa, in strada o al lavoro mentre la pandemia imperversa,migliora se si riesce a:

1.Non rifiutare  i cambiamenti che la pandemia determina nel bene e nel male nella vita, per non farsi dominare dal male;

2.Non accettare ma sopportare i cambiamenti per il tempo necessario ad attuare un conseguente cambiamento di vita;

3.Non separare il bene dal male in modo da desiderare e  poter così cercare cambiamenti benefici che non siano solo evitamenti o sconfitte del male.

Per ottenere il primo scopo non bisogna commettere l’errore tipico della nostra cultura di considerare sempre il bene come una specie di non-male.Nel caso della pandemia l’effetto che un tale errore provoca consiste nel lottare contro la pandemia dimenticando( è la follia di cui parla Bernard- Henry Levi) tutti i  problemi

più gravi che l’Umanità ha da affrontare( le altre malattie ben più letali di quelle determinate dal coronavirus, la povertà, la violenza, la guerra, il rischio della fine del mondo umano a causa dell’inquinamento,etc.).Se non si riesce ad evitare questo errore i cambiamenti determinati dalla pandemia( il suo Male) si rifiutano e bisogna  a tutti i costi evitarli anche quando non si sa ancora come fare, sprofondando così  in un’emergenza permanente durante la quale tutto il bene che pure permane nel mondo e nella vita finisce per non  avere effetti sull’esistenza reale  o per averne di molto limitati.

Se si evita questo errore si può riuscire non ad accettare( che è giusto non accettare il male altrimenti non lo si combatte) ma a sopportare ,con le spalle rimaste larghe grazie ai beni  che il coronavirus non ci toglie, il male dei cambiamenti negativi per il tempo necessario, uscendo così dall’emergenza anche durante l’emergenza, poiché se c’è emergenza sul piano infettivo a causa del coronavirus ci sono tante altre dimensioni della vita che non sono affatto in pericolo e su cui possiamo contare per convivere col male.

Avendo tenuto in tal modo insieme il bene e il male,si può trasformare col tempo il male che si sta sopportando non solo perché lo si è superato in parte sconfiggendo la pandemia, ma anche perché lo si è limitato grazie a tutti gli altri beni che non si sono trascurati e si è continuato a valorizzare.

Ecco il significato della formula che ho usato nel mio libro come indicazione per rafforzare la resilienza individuale e collettiva: ospitare il male per trasformarlo in bene!

Nel libro ho fatto alcuni esempi tra i quali ne citerò solo  uno.

Dov’è il bene che può essere valorizzato non come non-male (evitamento o sconfitta del male) quando si scansa qualcuno che potrebbe essere fonte di contagio?Il bene sta nel non trascurare che nel difendersi contro il male di cui un altro può essere portatore c’è il bene di dirgli che si sa di poter essere a propria volta fonte di male per lui.Come cambierebbero le cose se ogni volta che ci difendiamo allontanandoci da un altro per strada riuscissimo a dirgli che lo stiamo facendo anche per difendere anche lui ,dato che potremmo a nostra volta essere contagiosi? Nell’uso delle mascherine( per proteggersi ,per proteggere o entrambi) c’è tutta intera questa problematica umana.

Molto interessante il concetto di società umana contrapposto a quello di società cellulare.

La società cellulare è l’organismo biologico di cui le cellule sono i componenti, in analogia la società umana in tutte le culture è stata rappresentata come un organismo le cui cellule sono le famiglie o i clan.Questo modo di pensare la Società ha avuto le sue prerogative positive, basti pensare all’apologo di Menenio Agrippa (464 a.c.),e ai suoi derivati. Purtroppo però la modernità eleggendo la Biologia a Scienza cardine dello studio dell’uomo ha finito per seguirne il metodo che la rende efficace:la separazione dello studio del corpo organico dallo studio dell’anima e della spiritualità. Ciò è avvenuto a causa del fatto che gli sviluppi della biologia si sono ottenuti tramite la sperimentazione sugli organismi animali inferiori e superiori pensando di poterne trasferire tout court all’uomo i risultati. Con la conseguenza che nello studio dell’uomo si è trascurata sempre di più l’intima connessione dell’organismo con ciò che é presente solo nell’uomo:la spiritualità (cioè la tendenza a non limitarsi a vivere istintivamente ma a cercare di dare un senso a ciò che si vive, vivendolo in modi diversi a seconda dei valori che dal senso dato derivano).Si è finito così, ad esempio, per avere una Medicina tutta quasi completamente biologica che nello studio delle malattie e della morte si limita ad approfondire i meccanismi della nuda vita biologica, come se le intenzioni e i valori di chi la vive non vi fossero strettamente intrecciati e non  potessero determinarla altrettanto potentemente dei meccanismi biochimici ed elettrici che presiedono al funzionamento biologico.Non è un caso, ad esempio, che il CTS a cui si fa riferimento durante la pandemia sia quasi totalmente dominato da scienziati che tendono a separare nettamente i dati biologici dal modo di viverli di ciascuno, con tutte le conseguenze che ciò comporta:soprattutto l’illusione, che poi si rivela al momento delle decisioni politiche, che le decisioni sui valori possano derivare dai dati scientifici.

Perchè,allora, gli umani pur conoscendo i limiti della natura cellulare continuano ad edificare società che funzionano come gli organismi cellulari e hanno gli stessi problemi delle cellule?

La ragione profonda credo sia perché ,prendendo atto della diversità qualitativa delle società umane rispetto a quelle cellulari,dovrebbero cambiare troppe cose del mondo com’è attualmente , si spaventano e cercano di tornare alle strade solite anche quando situazioni come quella della pandemia che stiamo vivendo indicano che ciò non è possibile ed è necessario cambiare per superare la crisi.

E’ vero che sorgono a livello filosofico alcune giuste  dispute:

a) se sia da privilegiare il valore della vita anche a prezzo della libertà(Agamben,Habermas Gunther ed Esposito) o quello dell’economia a prezzo di un aumento esponenziale delle disuguaglianze che contemporaneamente tolgono libertà ai più;

b) se sia da costruire una società immunitaria, cioè basata sulla difesa dai nemici per sopravvivere quando ,come i virus, ci attaccano e potrebbero ucciderci(mors tua vita mea) ;o se sia invece da privilegiare una società comunitaria, cioè basata sulla solidarietà reciproca con coloro, ad esempio virus e migranti, che potrebbero ucciderci ma sono al tempo stesso in rapporto di interdipendenza con noi(vita mea vita tua);oppure una Società basata sul sacrificio volontario di chi arrivato alla fine della vita si rende conto che se vuole difenderla a tutti i costi fa del male agli altri, costringendoli a sacrificarsi per chi non ha più molto da vivere(mors mea vita tua);

c) se sia da perseguire l’idea che “tutto è possibile” che tende a trionfare oggi, anche di fronte all’imprevedibile(Petrosino) e costruire una società in cui prevalga il bene possibile sulla sconfitta definita e impossibile del male.

Ma restano dispute astratte perché di fronte al male della pandemia non si riesce ad assumersi la responsabilità di doverlo sopportare per il tempo necessario a limitarlo e a venirci a patti ,perché si vorrebbe smettere di soffrire al più presto e non si riesce a soffrire quanto è necessario per far trionfare il bene .L’esempio della seconda ondata che stiamo vivendo è significativo al riguardo: il disagio fondamentale consiste nel non saper aspettare perché si rifiuta la sofferenza che questa attesa comporta;manca la resilienza come passività di cui abbiamo parlato all’inizio e tutti dicono che non ne possono più.

Di fronte al coronavirus e a quanto purtroppo sta riaccadendo oggi, come dovremmo comportarci?

VI.Il libro si conclude affrontando la forma di resilienza che abbiamo chiamato resilienza spirituale, derivante dalle risorse che derivano all’uomo di fronte alle situazioni che deve affrontare dal senso che è in grado storicamente e culturalmente di dare ad esse.

Dovremmo parlare non solo tra filosofi della scala di valori che ispira le nostre scelte di vita per diventare consapevoli della loro importanza e poter fare ciò che per superare una crisi così grave come quella che stiamo vivendo bisognerebbe fare: rivedere la gerarchia  dei valori   che più o meno consapevolmente avevamo condiviso  e riflettere sulle nuove vie da imboccare, prendendo atto che indietro non si può tornare se non al prezzo di peggiorare e non migliorare la vita dopo la pandemia.

Potrebbe essere un’occasione per smettere di fare ai virus guerre impossibili da vincere ,dato che  da sempre e per sempre non possiamo impedire che i virus si formino all’interno delle cellule  che  non possono riuscire  ad eliminarli del tutto,e dato che non possiamo impedire che parassitino le cellule degli organismi da cui provengono o da altri organismi che aprono loro le porte per qualche ragione. Anche se all’inizio possiamo fare loro la guerra, con i  virus dobbiamo convivere:per vivere il virus ha bisogno delle nostre cellule e noi per vivere abbiamo bisogno che nutrendosi delle nostre energie vitali non ci uccida e ci ritorni utile, ad esempio contribuendo al determinarsi di mutazioni genetiche evolutive.

Potrebbe essere un’occasione per smettere di fare la guerra anche ai “virus sociali” che le nostre società da sempre producono ,essendo costruite e organizzate in analogia con le società biologiche.Sto parlando dei migranti che quando, ad esempio, sbarcano in Sicilia,se non ci sono le risorse per ospitarli diventano una specie di “parassiti” che cercano di sopravvivere e di moltiplicarsi ignorando le esigenze dei siciliani e mettendo così a rischio la loro sicurezza e il loro benessere.

Potremmo prendere atto una volta per tutte che i parassiti(virus o migranti che siano) talvolta si possono eliminare ma è un’illusione destinata a non durare:altri virus e altri migranti arriveranno a causa dell’imperfezione della biologia e delle  società umane e il rischio del parassitismo(cioè di parassitare e di essere parassitati) si riprodurrà sia per le cellule dell’organismo che per le relazioni sociali.

Su questa base potremmo finalmente affrontare alla radice i mali che ne derivano(malattie, morti, povertà e conflitti),cioè facendo sì che stavolta finalmente non ci si illuda di poter eliminare il male e che l’ospitalità del male(dei virus da parte delle cellule e dei migranti poveri da parte delle società umane) stavolta non fallisca( come è continuamente fallita nel corso della storia umana),rendendo possibile di convivere con esso per avere il tempo di trasformarlo in bene( la Medicina attenuando la letalità dei virus e trasformandoli in vaccini;le Società ricche condividendo le loro risorse con i migranti poveri) .

Naturalmente essendo noi imperfetti, ci riusciremo solo in parte: altri “fallimenti della convivenza col male” appariranno. Ma per fortuna abbiamo una risorsa illimitata che ancora non utilizziamo come dovremmo:la consapevolezza di essere nel nostro mondo(e speriamo non da soli nel cosmo),come umani, gli unici consapevoli di tutto questo e animati da un desiderio di perfezione infinito sulla base del quale può sorgere in noi un senso di responsabilità di fronte al male che ci “tocca” in esclusiva(perchè solo noi possiamo vederlo e affrontarlo), e nell’assolvere la quale non possiamo essere sostituiti né dagli altri viventi non umani. né dagli astri ,né dagli dei.

Potremmo intuire che è proprio da questo compito che gli umani hanno in esclusiva che sorgono i valori che rendono la vita umana una vita spirituale che va oltre la nuda vita biologica(l’amore, la solidarietà, la carità, la libertà, la bellezza, l’uguaglianza, la fraternità) ,con la conseguente responsabilità umana verso tutto e verso tutti. E vivendo ispirandoci a questi valori potremmo donare alla vita umana un senso che non basta essere viventi non umani per perseguirlo: ospitare il male per trasformarlo in bene!

Cosa potrebbero fare le istituzioni in concreto?

Ciò che le istituzioni in concreto possono fare è proprio aiutare tutti a mettere in discussione la scala di valori dominante in vista del prevalere in ciascuno della responsabilità verso tutto e tutti.

Farò due esempi:

  1. Per divertirsi, giovani o vecchi che si sia, bisogna essere spensierati cioè, fondamentalmente, alleggeriti delle responsabilità che “toccano”in esclusiva cioè che non si possono scaricare su nessuno. Se,come può accadere durante una pandemia, divertirsi insieme ad altri comporta scaricarsi della responsabilità che il proprio comportamento possa favorire il contagio, lo Stato ha due possibilità: sfavorire e/o reprimere le occasioni di divertimento collettivo; educare a rivedere la gerarchia di valori dominante oggi secondo la quale il massimo bene è il piacere, cioè il benessere che deriva dal divertimento goduto.

      Non potremmo far scoprire ai giovani e ai vecchi che la pensano così che il massimo bene, meglio del piacere, consiste nell’essere insostituibili

 e quando nessuno ci può sostituire nel portare la responsabilità che ci tocca riuscire a portarla? E chi può sostituire chi si diverte nelle feste senza pensare a niente ,nell’assumersi la  responsabilità di divertirsi un pò meno  “guadagnando” un bene superiore, consistente nell’evitare che la pandemia si diffonda di più e qualche vita in più si salvi?

2.Dalla massima istituzione dello Stato, il presidente della Repubblica, è venuta in occasione della recente celebrazione della giornata delle Malattie mentali, l’esortazione a “non lasciare solo nessuno”(sottinteso:neanche i matti) durante la pandemia.Per poter dare un seguito a ciò che ci ha detto Mattarella bisogna di nuovo cambiare la gerarchia dei valori dominanti. Chi pensa che i malati di mente siano uguali ai sani di mente? Che fine fa di fronte a qualcuno che impazzisce e “disturba” tutti facendoloro del male con i suoi comportamenti distruttivi, il valore dell’uguaglianza? Va in fondo alla scala e i matti sono infatti coloro a cui si pensa di meno nella nostra società.Tanto più succederà quando anche i sani, ad esempio durante una pandemia ,rischiano per la loro salute mentale se non riescono a superare le crisi psicologiche che ne derivano.I matti nella nostra società sono anche loro una specie di “parassiti”(come i virus e come i migranti) che si cerca di evitare a tutti i costi e in tutte le forme(isolandoli, segregandoli, imbottendoli di farmaci che li trasformano in zombi) a meno che non si decidano a guarire e a ridiventare sani di mente!In realtà anche i malati di mente anche se sono  inguaribili restano umani, cioè portatori di valori spirituali anche solo quando l’unico valore che li accomuna tutti e li rende uguali  a tutti  sia il desiderio di stare meglio superando la sofferenza da cui sono oppressi.

Senza cambiare la scala dei valori quindi, l’esortazione del capo dello Stato è destinata a restare lettera morta  perché è troppo difficile e dispendioso ,quasi impossibile come avere tutte le sale di rianimazione che ci rivorrebbero se la pandemia fosse fuori controllo, non lasciare soli i matti dopo che lo sono diventati. Bisognerebbe,altro compito istituzionale, pensarci prima ,assistendo per tempo tutti quelli che durante la pandemia “vanno nei matti” in modo da ridurre il più possibile quelli tra questi  che non torneranno più nel mondo dei sani di mente.Qualche dato: una ricerca ha calcolato che durante la pandemia il 60% delle persone hanno un’ansia superiore al normale, il 40% rischiano forme depressive, il 20 % sono traumatizzati e potrebbero sviluppare un disturbo post-traumatico.        

Per non parlare delle crisi esistenziali dovute all’impossibilità per molti di essere se stessi e di realizzare i loro progetti a causa dei cambiamenti provocati dalla pandemia, per i quali si fa pochissimo o solo privatamente per chi si può permettere di pagarsi uno psicologo.Anche qui sarebbe necessario rivedere la scala dei valori secondo la quale le malattie vere sono sostanzialmente quelle fisiche e per la sofferenza esistenziale lo stato di abbandono è quasi generalizzato, avendo ormai perso ascolto al di fuori della vita personale o delle dimensioni underground della nostra cultura scientifica e scientista nelle sue sfere ufficiali e politicamente corrette.Se hai bisogno di un medico ti capiscono, se soffri nell’anima o il tuo spirito e i tuoi valori sono in tensione sono “cavoli” tuoi!

I territori di Bergamo e Brescia sono stati colpiti in particolare modo da lutti improvvisi o imprevisti. Dovrebbe rientrare nel processo di guarigione anche un’attenzione verso l’elaborazione del lutto?

Lei sta parlando con chi da più di 40 anni ha fondato l’Associazione Rivivere e nel suo ambito sta portando avanti  a Bologna il Progetto rivivere di assistenza gratuita alle persone e alle famiglie in lutto.

Sul lutto bisogna dire che la situazione di chi è in lutto è spesso una situazione di abbandono, in una cultura che per la prima volta nella storia umana ha cancellato dalle sue istituzioni le pratiche antiche del lutto collettivo riducendo la problematica dell’elaborazione del lutto a qualcosa di  meramente individuale.Durante la pandemia questa disattenzione collettiva per il lutto tende ad accentuarsi  determinando situazioni di sofferenza e di abbandono scandalose, allorché si aggiunge al fatto che il lutto è ormai relegato nella dimensione individuale anche un fattore oggettivo:gli individui non hanno potuto attuare le difese spontanee di fronte alla perdita dei cari che sono fondamentalmente due, accompagnarli per condividere l’ultimo tratto di vita riconciliandosi e fare un funerale adeguato per un adeguato viatico verso la morte.

Naturalmente non basterà perché elaborino adeguatamente il lutto per la perdita di una persona cara che nel futuro sia consentito ai cari di assistere i malati di covid nelle ultime fasi della malattia (ad esempio “bardando” un parente come un operatore sanitario per poterlo far entrare in un  ricovero o in rianimazione senza rischi eccessivi di contagio) .Nè basterà fare in modo che i cari possano organizzare adeguate esequie e servizi funebri(inumazione ,cremazione e ritualità funebri). Sarà opportuno farlo favorendo l’elaborazione del lutto, ma resta la dimensione strettamente personale del lutto che attiene fondamentalmente al modo di slegarsi da qualcuno a cui si era legati affettivamente o al modo di continuare il legame.Elaborare un lutto infatti, al di là dei modi dell’assistenza (che configurano un lutto anticipatorio) o dei rituali funerari(che segnano il passaggio dalla presenza all’assenza del defunto) è un complesso processo di crisi che si svolge nel tempo e può consistere:

Nello slegarsi  per non soffrire o morire a propria volta perché è venuta  a mancare la soddisfazione dei bisogni vitali oggettivi(sicurezza soprattutto) che essere legati al caro consentiva ,e si ha bisogno di sostituire il legame perduto con altri legami equivalenti.

Nello slegarsi  dalla  “presenza fisica” di chi non c’è più e nel restare  legati alla rappresentazione interiore dell’altro, per non soffrire o morire a propria volta perché è venuta a mancare la soddisfazione dei bisogni vitali soggettivi(sentirsi se stessi perché riconosciuti come unici) che essere legati al caro consentiva.

Nel “sostituirsi” a chi non c’è più mantenendo con lui/lei un legame che anche quando era vivo non si era stabilito solo per soddisfare bisogni vitali,di sicurezza e di riconoscimento di sé, bensì anche per soddisfare bisogni vitali, di sicurezza e di riconoscimento dell’altro.

E tuttavia lo scandalo delle morti da covid senza accompagnamento affettivo dei cari e senza ritualità funebri ha un aspetto positivo dal punto di vista umano:riporta in campo la la dimensione collettiva del lutto che, come dicevamo è stata trascurata dalla nostra cultura abbandonando gli individui in lutto. Anche ora però non bisogna credere che il lutto è collettivo solo quando una società aiuta i cari ad accompagnare i malati nelle ultime fasi della malattia o a realizzare adeguate ritualità funebri.In nessuna modalità di elaborazione del lutto, infatti l’individuo fuori dalle relazioni sociali  può elaborare il suo lutto, neanche nelle sue dimensioni prettamente individuali.

Come può chi ha bisogno di “sostituire” chi non c’è più, per ripristinare l’adattamento perduto nell’ambiente, farlo   senza l’autorizzazione legittimante di chi gli sta attorno?

Se, ad esempio( è un caso che abbiamo seguito) una moglie giovane che ha perso suo marito di covid ne avesse derivato una insicurezza talmente grande che solo un altro affetto può compensare, potrebbe nel nostro contesto culturale risposarsi o accoppiarsi nuovamente senza ricevere una pesante sanzione morale prima che sia trascorso almeno un anno dalla morte?

Oppure se (un altro caso) un figlio che ha perso la madre di covid  in una casa di riposo si rappresentasse la madre come viva nell’aldilà e/o ne sentisse la presenza

nel suo cuore, potrebbe, senza essere oggetto di un giudizio negativo,rifiutare di denunciare la struttura di ricovero come vorrebbero tutti gli altri figli delle persone morte nella casa di riposo che non hanno il conforto della fede nell’aldilà o nelle virtù del “cuore” ?

E infine chi si proponesse( altro caso) di onorare il padre morto di covid senza poterlo salutare e senza potergli fare un adeguato funerale ricordando a se stesso e agli altri che né sostituirlo né farlo vivere simbolicamente dentro di sé o in qualche aldilà lo riporterebbe in vita, potrebbe sostenere che la vera tragedia è che il padre è morto e non la sofferenza di chi  soffre e deve sostituirlo o farlo vivere simbolicamente? Nella nostra cultura sarebbe molto difficile trarne le conseguenze logiche e cioè che bisogna trovare un modo per elaborare il lutto “per la morte del caro e non quello per la perdita del caro”.

La problematica del lutto in sostanza ci riporta alla  necessità di fronte alla pandemia di  confermare o rivedere scala dei valori e fa apparire quella che ho chiamato “resilienza spirituale”, consistente nel fatto che ,oltre a tutto ciò che abbiamo già detto e forse a monte di tutto questo, si diventa più resilienti di fronte ad una crisi profonda come quella della pandemia cambiando i valori dominanti sulla base di un senso specifico che si dà al male.