Un lutto senza memoria
di Erica Zerbini
Quando una persona a noi cara muore, il nostro mondo cambia bruscamente.
A poco a poco ci rendiamo conto che non potremo più comportarci come avevamo fatto fino ad allora: non potremo più comporre il suo numero di telefono per condividere una notizia importante o chiederle un consiglio, incontrarla per condividere momenti unici, contare su di lei, come punto di riferimento nella nostra esistenza.
È naturale ripescare nella memoria ciò che ricordiamo di lei: il tono della voce, quell’espressione particolare, come gesticolava o come sorrideva.
Ogni volta è uno strazio del cuore, perché, ogni volta, la nostra mente realizza che non ritroveremo più quella voce, lo sguardo, i gesti, il sorriso. Quella persona a noi così cara, è morta.
A poco a poco il ‘lavoro del lutto’ ci permette di trasformare la persona amata da presenza esterna in presenza interna, e quei ricordi tanto dolorosi si riveleranno il vero patrimonio in comune con lei: essi saranno capaci di farcela sentire ancora vicina, pur nella sua evidente assenza quotidiana e mantenerci ‘in contatto’ con lei, nella nuova realtà che abbiamo costruito.
Quando si tratta di un figlio che muore in epoca pre e perinatale, questo passaggio si fa più complicato: di lui non abbiamo uno storico, così come siamo abituati a considerarlo.
Molto spesso non abbiamo nemmeno un volto, men che meno un tono di voce, o espressioni particolari. Eppure il vuoto che genera la morte di questo figlio, può rivelarsi enorme ed obbligarci ad una rivisitazione completa della nostra vita.
La mancanza di esistenza al di fuori dal grembo, o sufficientemente condivisa con la società, autorizza le persone intorno a noi a sminuire l’entità del dolore che proviamo. È frequente la difficoltà nel comprendere la sofferenza verso la morte di qualcuno che è considerato, e addirittura a torto definito, abitualmente Mai nato .
La società necessita di proteggersi dalla paura che ogni morte suscita, prevalentemente dalla presa di coscienza che tutti noi siamo mortali e, prima o dopo, ci toccherà la stessa sorte. Quando si tratta della morte di qualcuno che non si è conosciuto ed esperito, è rassicurante reinterpretare l’accaduto come qualcosa che non ha a che fare con la mortalità, e ricondurlo ad un eccesso della fantasia del dolente.
È comune incontrare persone incapaci di comprendere come una creatura di poche settimane di vita intrauterina, possa avere acquisito per i genitori e per la famiglia, lo stato e il valore di figlio, già a tutti gli effetti. Come spesso accade per ciò che temiamo e che ci causa sofferenza, se non lo vediamo, possiamo autorizzarci a credere che non esista.
Eppure le narrazioni dei dolenti coinvolti da questa esperienza, ci raccontano storie moto diverse. Sono storie di grande amore, di speranza, di gioia, di fiducia. La fiducia nel compiersi di un destino che sembrava già scritto e che, invece, li ha traditi, lasciandoli, soli, afflitti, incompresi e privi persino di ricordi degni di quel nome.
Alle persone in lutto perinatale resta soprattutto il dolore della morte. Un dolore che, non di rado, è confuso col lascito del loro figlio.
Senza uno storico condiviso, senza una vicenda da raccontare abbastanza lunga e sufficientemente vicina alle aspettative altrui, non resta che il dolore. Un dolore capace di mostrare quanto quella morte sia stata importante e determinante per loro. Un dolore capace di mostrare l’effettiva esistenza di quel figlio di cui, altrimenti, non si avrebbe traccia. Un dolore difficile da abbandonare, poiché lasciato andare, scomparirebbe ogni traccia dell’esistenza di questo figlio. Un dolore a cui si può restare legati senza soluzione, per conservare la sensazione di restare legati a quel figlio che non c’è più.
In realtà, per quanto la morte di questi figli possa avvenire precocemente, esistono ricordi legati all’esperienza condivisa, una memoria che è importante valorizzare, anche costruendo ricordi post mortem autentici.
La morte porta dolore. Il dolore di un amore che cambia bruscamente forma, che necessita di imparare a ‘compiersi’ in un altro modo. È un dolore che richiede pazienza, tempo e creatività.
È un dolore che non deve per forza restare vivo, può essere accompagnato all’uscita, senza timore di perdere qualcosa, bensì con la convinzione di riacquistare se stessi, arricchiti dalla ‘presenza’ di chi non vive più. (http://www.luttoperinatale.life/memoria-e-lutto-perinatale/ )
I nostri defunti non assumono per noi più o meno valore rispetto al tempo che abbiamo condiviso, ma hanno un valore intrinseco, destinato a perdurare attraverso la nostra memoria di loro. Nel tempo questa memoria subirà cambiamenti e aggiustamenti, tuttavia ciò che è davvero contato non lo perderemo mai.
L’autrice
Erika Zerbini, autrice, blogger e facilitatrice di Gruppi di Auto Mutuo Aiuto. Ha pubblicato alcuni testi sull’esperienza del lutto perinatale e sulla maternità, ha fondato e cura i blog Professionemamma.net e Luttoperinatale.life, quest’ultimo in collaborazione con Novella C. Buiani (psicologa perinatale). È socia volontaria di A.M.A.Li. OdV (Auto Mutuo Aiuto Liguria) e facilitatrice del Gruppo AMA Funamboli, dedicato ai genitori in lutto perinatale, che si riunisce settimanalmente presso l’E.O. Ospedali Galliera di Genova.