Pubblichiamo di seguito una lettera scritta da una persona che prima di affidarsi al suo nuovo medico di cure palliative ha voluto scrivere di suo pugno alcune righe molto significative, semplici ma al contempo profonde e chiare. E’ una lettera attraverso la quale l’autrice spiega al medico come vorrebbe essere trattata e accolta, come vorrebbe essere affiancata specificando esattamente di cosa ha bisogno. Un bellissimo esempio di ciò che, una persona che ha bisogno di essere accompagnata in un percorso di cura, ritiene buono per sé e di come lo si possa esprimere.

La lettera di Lorella

 

Caro Dottore,

Voglio scriverle due parole prima di conoscerci, perché Lei si occuperà di me, avrà cura di me, maneggerà il mio corpo.

Inizio col dirle che gentilezza, rispetto, attenzione, cura dei sentimenti degli altri sono parole per me molto importanti. E se ciò è vero nella vita di tutti giorni, tra casa, strada, scuola, luogo di lavoro, lo è anche di più nei luoghi di cura, nei luoghi in cui, per definizione, ci sentiamo tutti più fragili, bisognosi di attenzione, … negli spazi dove una parola gentile, un gesto garbato possono fare la differenza.

Affermo questo in quanto “esperta” di spazi di cura: ho 55 anni e da 53 li frequento, quasi in modo “morboso” contro la mia volontà che sogna di stare in grassa salute. Avendo una malattia ossea rarissima su base genetica e diverse altre cosette, sono cresciuta tra corsie di ospedale, ambulatori, centri riabilitativi: posso dire di avere la “sindrome di Konrad Lorenz”, sono cioè affetta da Imprinting: ogni volta che vado in ospedale mi sento a casa e quando vedo un camice bianco mi piacerebbe chiamarlo ‘papà’. Ma purtroppo, non sempre sono accettata come “figlia”.

A parte le battute, volevo sottolinearle la mia esperienza in luoghi di cura e in mestieri di cura. Ho incontrato tantissimi medici, chirurghi, infermieri, addetti di sala e addetti alle pulizie, tante, tantissime persone che hanno permesso , bene o male, che io fossi ancora qui. In questo mio grande viaggio, posso affermare con certezza che sono guarita più velocemente tutte le volte che sono stata curata con gentilezza, quando il medico o l’infermiere mi hanno posto attenzione, rispetto, benevolenza.

Si, certo, questo è ovviamente un piacere …come dire “in chiaro” (evidente) che viene percepito immediatamente dalla persona che viene assistita; ma io credo che abbia anche una ridondanza “in scuro”, nel profondo, nella psiche, perché essa riceve, interpreta ed elabora stimoli generati dalla gentilezza: piacere, contentezza, sicurezza, speranza, forza, coraggio… Positività come medicina, gioia che si crea con un gesto/una parola gentile, che si concretizza in vera cura, che opera dal dentro.

Forse non mi sono spiegata bene, forse per scritto non trovo le parole giuste, ma so che la gentilezza trovata negli ospedali, nei centri di riabilitazione ha permesso cure più efficaci.

Senza contare che la gentilezza verso un paziente/malato/attore/utente (come ci chiamano nelle varie carte dei servizi) si riflette nel medico (ovviamente con la giusta dose di distacco personale altrimenti non avrà vita privata emotiva o fisica), e lo rende più motivato, sereno e competente…

La prego Dottore, sia gentile con me. Non mi venga a trovare con modi burberi o quando è pieno di cattivi pensieri. Se può, venga da me quando non ha fretta. Si dedichi a me, con affetto e gentilezza.

Con tanta gentil stima (tantissimissima),

Lorella 

 

Grosseto, 4 marzo 2012

 

 

 

 

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