Aiutandoti, barcollo: Quando la cura tocca i limiti
di Maurizio Padovani
Quando la relazione d’aiuto con chi è straziato dal dolore fa tremare le gambe e ferisce profondamente le profondità dell’helper, essere utili ed efficaci verso chi chiede aiuto diventa molto complesso.
Riuscire ad individuare ciò che fa barcollare e attivare delle reazioni conseguenti per affrontare queste crisi personali, rappresenta una straordinaria modalità per migliorarsi nella modalità di supporto a chi soffre. Ho cercato allora di coinvolgere persone diverse per ruolo, professione competenze e vissuti, tutte accomunate dalla medesima esperienza: accompagnare chi sta attraversando la vita soffocata dal dolore.
Ad ognuna ho chiesto di evidenziare e condividere la loro maggiore paura, difficoltà e incapacità nel rapportarsi con chi cercano di supportare durante il lavoro o l’attività di volontariato ed evidenziare poi cosa hanno messo in campo per affrontare il possibile fallimento relazionale, professionale, umano.
L’adesione immediata, il coinvolgimento diretto, le continue revisioni dei loro testi scritti e l’assoluta disponibilità nel mettersi in gioco senza filtri, sono solo alcuni degli elementi che dimostrano quanto nell’assenza di strategie e comportamenti utili, nei dubbi personali, nel timore di non essere in grado di svolgere ciò in cui si crede fermamente, dimorino moltissime risposte.
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Quando la cura tocca i limiti:
la visione dei defunti come richiesta di aiuto
Sono un neo pensionato. Ho lavorato per molti anni nei servizi di cura alla persona per alcune Amministrazioni pubbliche: presso centri residenziali per anziani e per disabili gravi, centri diurni per anziani, servizi di assistenza domiciliare, assistendo a malati terminali e pazienti con gravi patologie degenerative.
Parallelamente, fuori dall’ambiente lavorativo, mi occupo di supporto al lutto secondo la modalità dell’auto mutuo aiuto e conduco laboratori di scrittura autobiografica.
Credo che l’esperienza di cura sia altamente formativa, di servizio, inteso come qualcosa che serve per curare. Aiutare è un’arte, dove la chiave per essere efficaci è quanto mai sfuggevole, e dove persino le sfumature che possono risultare marginali, irritanti, possono invece risultare rivelatrici.
Sono convinto che l’atteggiamento di accoglienza verso se stessi e verso l’altro sia alla base della riuscita di ogni relazione d’aiuto, la cura data infatti esige un approccio aperto, disponibile nei confronti di qualsiasi istanza portata dalla persona in stato di bisogno.
Naturalmente tutto ciò richiede un intenso impegno da parte del caregiver, che naviga tra forti pressioni interne ed esterne: il mare della cura è sempre pieno di sfide ineludibili.
E’ la sensibilità e la capacità operativa a dare vita alla tecnica, a fare la differenza.
Per rendere tangibili queste parole, intendo narrare un’esperienza personale di cura del tutto originale e fuori dagli schemi.
Da alcuni anni collaboro con una Cooperativa Sociale nei pressi di Modena per il supporto al lutto tramite incontri individuali, formazione e gestione di piccoli gruppi di auto aiuto. Essendo un’attività fuori dall’ambito lavorativo l’ho sempre vissuta come un’occasione particolarmente gratificante, perché conseguente a una mia scelta e per la possibilità di mettere al servizio in maniera creativa la mia esperienza.
Istintivamente mi sono reso disponibile anche ad altre espressioni del bisogno, per cui mi sono occupato di lutti per la morte di animali domestici, ma anche per situazioni di crisi esistenziali (rapporti problematici tra famigliari e di coppia) sempre seguendo la modalità dell’auto mutuo aiuto.
Ma, dicevo, c’è un caso che ho seguito davvero particolare, che tocca i limiti e i pregiudizi di tutti noi. Tutto ebbe inizio al termine di un laboratorio dedicato a un gruppo di donne che avevano subito violenza domestica. Durante i lavori ero affiancato dalla referente del progetto, P., educatrice e counselor.
Prima di lasciarci chiesi a tutte le partecipanti se avessero voluto rivelare per iscritto un segreto personale, a conclusione del percorso condiviso. Intervenne P. e con naturalezza disse che aveva la capacità di vedere i defunti.
La rivelazione produsse in me un moto di sorpresa, non di turbamento perché per ricerca personale da ragazzo mi ero documentato sull’argomento, avendo conosciuto personalmente un noto medium, approfondendo le numerose sfaccettature di un tema così controverso con una ricerca ad ampio raggio. Ci lasciammo senza ulteriori chiarimenti e con P. non ne parlammo più per mesi, pur incontrandoci regolarmente per altri progetti.
Accadde che per motivi fortuiti, l’argomento paranormale ritornò in un incontro con il personale della Cooperativa Sociale.
- era entrata in crisi perché le sue visioni la tormentavano giorno e notte: persino durante gli incontri professionali di cura, le presenze si manifestavano in modo massiccio e continuativo, condizionando non poco l’andamento dei colloqui.
D’impulso le diedi la mia disponibilità a iniziare un percorso individuale di auto mutuo aiuto, finalizzato all’analisi dei fenomeni, alle sue reazioni emotive e al significato che avevano per lei. Accettò con entusiasmo.
Francamente non pensai al ritorno esperienziale ed emotivo al quale mi avrebbe sottoposto tale sfida atipica. Lo scoprii strada facendo. Ci ritrovammo pochi giorni dopo nella sede della Cooperativa Sociale, e da allora ci incontrammo alcune volte, con una durata media di due ore di colloquio per serata.
Ben presto emersero i nodi per cui la sua situazione era diventata insostenibile.
- pur avendo una consolidata esperienza nel campo della cura, viveva fin da piccola questa capacità di vedere i defunti come qualcosa di inevitabile, tuttavia in tutta la sua vita si era confidata solo con il marito, mentre con la madre, allora in vita, non c’era mai stato un chiarimento in merito, anche se pare, da allusioni fatte tra di loro nel tempo, che lei stessa avesse questo “dono”.
- fino a quel momento aveva sostanzialmente subìto le manifestazioni paranormali che ruotavano intorno a lei, ma negli ultimi tempi si erano intensificate e con esse una forma sempre crescente di timore incontrollato, in più le visioni le parlavano e chiedevano di contattare congiunti, oppure trasmettevano messaggi. In particolare, in due occasioni per nuove modalità improvvise e molto coinvolgenti, P. si era molto spaventata. Il suo atteggiamento, già molto prudente, risultava ulteriormente condizionato.
Ora P. provava paura ad ogni visione che cercava di evitare chiudendo gli occhi o allontanandosi dalla vista.
Le manifestazioni paranormali si annunciavano con il sopraggiungere di un sibilo prolungato interno alle orecchie di P. che le impediva di proseguire l’attività svolta in quel momento, o perlomeno la condizionava sensibilmente, a suo dire. Durante i nostri incontri P. più volte fu costretta a interrompere la conversazione a causa del sopraggiungere del sibilo e della visione. Accadde una volta che nel momento di salutarci percepii anch’io un campo energetico molto forte che mi turbò molto.
Per raccogliere ordinatamente le modalità di apparizione costruii una scheda personale dove P. riassumeva l’andamento di ogni situazione. Ciò servì a definire al meglio le condizioni che favorivano tali manifestazioni, lo svolgimento, nonché come si concludevano.
Il confronto condiviso e senza pregiudizi che si instaurò ebbe immediatamente un effetto molto rassicurante su P. che riuscì a osservare meglio, con il distacco emotivo necessario, quali condizioni mentali erano in grado di ribaltare il sentimento di paura con uno di comprensione dell’evento, innanzitutto accettando il fatto che tali capacità l’avrebbero accompagnata per il resto della vita, cosa che inizialmente la terrorizzava, per cui poté riprendere le proprie attività convivendo con le apparizioni.
Questo il racconto della mia esperienza, ma vengo al fulcro del discorso, esortando il lettore a lasciare sullo sfondo le facili considerazioni e le opinioni comuni sull’argomento.
Quali dinamiche personali ha mosso questa esperienza atipica di cura? Molte, a dire la verità.
Innanzitutto, seppure da sempre animato da una convinta apertura nei confronti di ogni manifestazione ed espressione umana, ho dovuto fare i conti con un comprensibile e sano dubbio circa la veridicità dei fatti esposti. Ho cercato di trasformare tale sensazione, sicuramente condizionante e presente per tutto l’arco degli interventi, in un atto operativo, per cui durante i nostri incontri le ho posto domande incrociate e continui riferimenti a episodi già esposti per verificare se emergessero incongruenze.
Queste domande derivavano dalla mia cultura personale, come ho detto in precedenza, e dal confronto e le testimonianze degli altri operatori del Centro. Per evitare che passasse a P. un moto di giudizio, ho dovuto procedere con lucidità e attenzione. Per la riuscita del mio intervento è risultata fondamentale la volontà, la motivazione, la fiducia nei miei mezzi.
Ho potuto così concentrarmi sul processo interno a P., sulla narrazione degli eventi, tralasciando il giudizio degli eventi. La tacita verifica ha dato, secondo il mio parere, indicazioni sufficienti per confermare la veridicità dei fatti riferiti da P.
Non vi erano dubbi invece sulle caratteristiche della persona, assolutamente integra e pienamente inserita, con una vita famigliare, relazionale e lavorativa piena, ricca. Una persona con cui avevo collaborato più volte e che conoscevo da anni per le sue capacità professionali.
Di fronte a questo quadro virtuoso e realizzato, sarebbe stato incomprensibile giustificare le affermazioni di P. come un bisogno di accentrare l’attenzione su di sé, come erano da escludere con decisione la presenza di problematiche cognitive, emotive, relazionali. In ogni caso avevo davanti una forte richiesta di aiuto, formulata in modo molto coerente, significativo, riscontrabile nella sua personalità.
Altra difficoltà che ho incontrato è stata fare i conti con l’accettazione dell’altro su un argomento così intimo, pregnante e facilmente preda di luoghi comuni e di forti prese di posizione.
Infine, nonostante il supporto e la disponibilità dei colleghi di P., ho portato avanti il progetto senza punti di riferimento, documentazioni, né casistica.
Tuttavia credo che fosse necessario resistere alle tentazioni di dare un contorno preciso alla situazione, lasciando attraversare le emozioni che man mano fluivano. In questo mi è stata di basilare aiuto l’esperienza lavorativa.
Sicuramente, toccare con mano i rapidi progressi di P., mi ha rassicurato sulla bontà del mio operato, in un contesto direi inesplorato.
Credo che P. abbia subito apprezzato questo tipo di approccio, così difficile da realizzare nelle situazioni borderline come queste. L’esperienza ha suscitato nuove domande circa il mio approccio con la spiritualità, che è parte integrante del mio sentire e che ne è risultata arricchita; fino ad allora avevo potuto confrontarmi sul tema molto raramente, per cui non avevo e non ho ad oggi alcun confronto continuativo su cui basarmi.
La situazione vissuta con P. ha rimarcato ancora una volta quanto le esperienze di cura abbiano sempre un ritorno a livello interiore, esperienziale, a volte di impatto molto potente, come in questo caso. La sfida è di esserne consapevoli e di dare alle emozioni una valenza positiva di ascolto dell’altro e di se stessi, nonché lasciare in sospeso i giudizi sommari.
La persona di cui ci prendiamo cura è un mondo da scoprire con tutti i suoi misteri, noi abbiamo il nostro, dunque siamo uguali in quanto umani e diversi in quanto unici.
Siamo persone che si occupano di altre persone, penso sia importantissimo saper con-tenere ciò che ci accade, per rendere ogni esperienza, anche la più scabrosa, un’opportunità di crescita.
L’autore
Maurizio Padovani, ha lavorato per oltre 35 anni nelle Amministrazioni Pubbliche di Modena e provincia prima come Operatore di cura e successivamente come Responsabile organizzativo, presso Strutture Residenziali per anziani e per disabili gravi, Centri Diurni per anziani, Servizi di Assistenza Domiciliare, assistendo a malati terminali, adulti con problematicità comportamentali e pazienti con gravi patologie degenerative. Parallelamente all’ambiente lavorativo, dal 2007 si occupa di Supporto al lutto secondo la modalità dell’auto mutuo aiuto, collaborando con l’Associazione Maria Bianchi di Mantova e il Centro Armonico Terapeutico di Campogalliano (MO). Dal 2009 è Consulente esperto in Scritture Autobiografiche, dopo aver frequentato per tre anni la Libera Università dell’Autobiografia di Anghiari (AR). Conduce laboratori di scrittura autobiografica.