RECENSIONE

BEVENDO IL TÈ CON I MORTI

Di Chandra Livia Candiani, Interlinea ed.

Già dal titolo (che dobbiamo ammettere meraviglioso) si intuisce una familiarità. Una sorta di costante frequentazione, un’amicizia. Non è dimora, quella dei morti, e non sono i morti estranei, al poeta. Qui men che meno. C’è tutta un’esistenza possibile solo in presenza di una vitalità d’altrove. Ci sono appuntamenti e un ritrovarsi che non sfiorisce. C’è uno stare insieme, un essere insieme, che è presenza non vista. Sentita, sì. E c’è fiducia di un non inascoltato silenzio. E qualche parola detta sottovoce.

 

Verso sera

i morti scendono sui fili della luce

come gocce di pioggia

che è già caduta.

 

 

Il morto che vive

sulla mia sedia a dondolo

mi ha chiesto di aprire lo sguardo alla finestra

e guardando alle nuvole che passano

non ha dato forme di sogni

ma le ha contate

a una a una

in pieno petto.

Il morto

dalla bocca spalancata

fa sentire sola

l’aria.

Il morto con il cappello

in mano

non parla

che quando resto sola

per antica consuetudine

d’intimità.

Frequentazioni… convivenze… viene inevitabilmente in mente La tovaglia, dell’indimenticato (indimenticabile) Giovanni Pascoli:

 

Le dicevano: – Bambina!

che tu non lasci mai stesa,

dalla sera alla mattina,

ma porta dove l’hai presa,

la tovaglia bianca, appena

ch’è terminata la cena!

Bada, che vengono i morti!

i tristi, i pallidi morti!

Entrano, ansimano muti.

Ognuno è tanto mai stanco!

E si fermano seduti

la notte intorno a quel bianco.

Stanno lì sino al domani,

col capo tra le due mani,

senza che nulla si senta,

sotto la lampada spenta. –

È già grande la bambina:

la casa regge, e lavora:

fa il bucato e la cucina,

fa tutto al modo d’allora.

Pensa a tutto, ma non pensa

a sparecchiare la mensa.

Lascia che vengano i morti,

i buoni, i poveri morti.

Oh! la notte nera nera,

di vento, d’acqua, di neve,

lascia ch’entrino da sera,

col loro anelito lieve;

che alla mensa torno torno

riposino fino a giorno,

cercando fatti lontani

col capo tra le due mani.

Dalla sera alla mattina,

cercando cose lontane,

stanno fissi, a fronte china,

su qualche bricia di pane,

e volendo ricordare,

bevono lagrime amare.

Oh! non ricordano i morti,

i cari, i cari suoi morti!

– Pane, sì… pane si chiama,

che noi spezzammo concordi:

ricordate?… È tela, a dama:

ce n’era tanta: ricordi?…

Queste?… Queste sono due,

come le vostre e le tue,

due nostre lagrime amare

cadute nel ricordare!

 

Vivi e morti, morti e vivi, inquilini d’uno stesso condominio. Lievi le mani della poesia intorno alla morte, lievi. Sono parole della poetessa milanese. Di lei si sa quel che basta. Insegna poesia ai bambini delle scuole elementari di Milano, ma quelle della perduta periferia. I bambini difficili che con lei diventano poeti. Traduce. Testi buddhisti, tiene corsi di meditazione. Il suo libro (Einaudi) La bambina pugile ovvero la precisione dell’amore è staro un caso letterario.

Detto di lei, torniamo ai suoi morti…

 

Per quali morti

la notte canta

il pavimento di legno:

per i passi leggeri

di chi circondata dai suoi gatti

abitava la noia della casa

o di chi all’insaputa di sé stesso

beveva dal bicchiere

la vita mancata

o di chi con una campana

chiamava a raccolta gli uccelli

come la coscienza triste richiama

pezzi sperduti della giovinezza?

Per tutti i delicati morti

che senza indirizzo

ora passeggiano in cerca

dell’incompiuta musica umana.

 

E qui mi fermo. Respiro e resto in silenzio. Questa poesia lascia tracce indelebili. Il finale mi lascia esattamente come i morti di cui parla e per i quali la notte canta…

 

Morire è adesso,

un momento qualunque,

questo momento.

 

Non una sola parola di troppo. Sembra tutto misurato, pesato, con ordine quasi ingegneristico, matematico. C’è quasi freddezza in questa misura eppure un cuore, che batte, forse un cuore disperato, che trova morte dappertutto, nella natura, e la canta.

 

Celebrano l’abbondanza

le ciliegie sui rami

le ciliegie putrefatte tornate

a bussare al suolo.

 

 

 

Nelle parole degli uccelli

riposano i morti

con i becchi

coniugando il silenzio.

 

 

(…) come muoiono gli alberi

in piedi

colti nell’attimo.

 

Non so nemmeno dire davvero perché, tolta la fondamentale ragione della bellezza, questo libro mi sia fondamentale. Ma è così. Ha a che fare con quella storia dei cimiteri. Ve l’ho già raccontata? Di certo, sì, la racconto a tutti. Quando ho bisogno di pace, vado al cimitero. Ritrovo ogni serenità smarrita e la vita, non so dirlo meglio, assume senso di nuovo, è di nuovo completa…

L’autore

Massimiliano Bardotti, poeta, ideatore e conduttore del corso di scrittura: La Poesia è di Tutti. Autore del libro “Il Dio che ho incontrato” (Ed. Nerbini). Cofondatore del progetto P.O.A. (Progetto Ospitalità Artisti): progettoospitalitaartisti.wordpress.com

L’autore

Serse Cardellini, poeta, filosofo, antropologo delle religioni, operatore socio-sanitario e operatore in medicina tradizionale cinese. Cofondatore del progetto P.O.A. (Progetto Ospitalità Artisti): progettoospitalitaartisti.wordpress.com