RECENSIONE

Antologia di Spoon River. Edgar Lee Masters.
(Garnett, Kansas, 1869 – Melrose Park, Pennsylvania, 1950), avvocato e poeta.

Questo è uno dei libri più conosciuti e amati, almeno per quanto riguarda la poesia. E forse non è difficile immaginarsi il perché: a parlare in questo libro, sono i morti, morti che si raccontano in versi. Allora, forse, di una morte così, si può anche non aver paura. E poi fa piacere pensare che ci siano poeti che cantano i morti o meglio, danno loro voce e li fanno cantare. Meglio ancora se a cantare non sono regine o re o persone potenti, influenti, quelli che sono ritenuti i grandi della terra insomma, ma l’idraulico, l’atletico, il buffone, l’ubriacone, il rissoso… e la tenera, la semplice, la vociona, l’orgogliosa, la felice… insomma noi tutti e tutte.
Forse è questo il primo grande regalo che ci fa Edgar Lee. Ci rende degni della poesia. Degni d’esser cantati dalla poesia, ma di più: degni d’esser poeti. Perché l’altro regalo è che quelle parole ce le mette in bocca, ci induce al canto.
Il libro inizia così, con La Collina

Dove sono Elmer, Herman, Bert, Tom e Charley,
l’abulico, l’atletico, il buffone, l’ubriacone, il rissoso?
Tutti, tutti, dormono sulla collina.
Uno trapassò in una febbre,
uno fu arso in miniera,
uno fu ucciso in rissa,
uno morì in prigione,
uno cadde da un ponte lavorando per i suoi cari –
tutti, tutti dormono, dormono, dormono sulla collina. (…)
Dove sono Ella, Kate, Mag, Edith e Lizzie,
la tenera, la semplice, la vociona, l’orgogliosa, la felice?
Tutte, tutte, dormono sulla collina (…)

E forse qualcuno leggendo ha già sentito vibrare nelle orecchie la voce di Fabrizio De André… perché proprio ispirato da questo libro il grande cantautore genovese scriverà uno dei suoi lavori più belli: Né al denaro, né all’amore, né al cielo.
A scoprire questo gioiello (L’antologia di Spoon River) per l’Italia fu Cesare Pavese. A tradurlo Fernanda Pivano. A pubblicarlo Einaudi, nel 1943, quando l’autore era ancora vivo.
Edgar Lee Masters era certo un poeta, ed era anche avvocato. E ditemi voi se può esserci dicotomia più bizzarra! Ma forse proprio da qui nasce un’attenzione del tutto diversa, rivolta al piccolo come al grande, al quotidiano come all’insolito. Una poesia che vuole essere di tutti e per tutti. Come la morte.

Trainor, il farmacista

Solo il chimico può dire, e non sempre,
cosa verrà fuori dall’unione
di fluidi o solidi.
E chi può dire
come uomini e donne reagiranno
fra loro, o quali figli ne risulteranno?
C’erano Benjamin Pantier e sua moglie,
buoni in sé stessi, ma cattivi l’uno con l’altro:
lui ossigeno, lei idrogeno,
loro figlio, un fuoco devastatore.
Io, Trainor, il farmacista, un mescolatore di sostanze chimiche,
morto mentre facevo un esperimento,
vissi senza sposarmi.

Queste piccole enormi storie, questi tratteggi di vita che uno ad uno compongono le vite di tutti…

Dippold, l’ottico

– Che cosa vedi adesso?
Globi rossi, gialli, viola.
Un momento! E adesso?
Mio padre, mia madre e le mie sorelle.
Sì! E adesso?
Cavalieri in armi, belle donne, volti gentili.
Prova queste.
Un campo di grano – una città.
Molto bene! E adesso?
Molte donne con occhi chiari e labbra aperte.
Prova queste.
Solo una coppa su un tavolo.
Oh, capisco! Prova queste lenti!
Solo uno spazio aperto – non vedo niente in particolare.
Bene, adesso!
Pini, un lago, un cielo estivo.
Così va meglio. E adesso?
Un libro.
Leggimene una pagina.
Non posso. I miei occhi sono trascinati oltre la pagina.
Prova queste.
Profondità d’aria.
Eccellente! E adesso?
Luce, solo luce che trasforma tutto il mondo in un giocattolo.
Molto bene, faremo gli occhiali così.-

Perché siamo stati tutti vivi, o per lo meno lo saremo. E, misericordia, tutti moriremo…

Elmerr Karr
Che cosa se non l’amore di Dio può avere addolcito
e indotto al perdono la gente di Spoon River
verso di me che avevo violato il letto di Merritt
e lui l’avevo assassinato?
Oh, cuori benevoli che mi accoglieste,
quand’ebbi scontato i miei quattordici anni!
Oh, mani sollecite che mi accoglieste nella Chiesa,
e ascoltaste piangendo la mia confessione pentita,
quando presi il Sacramento del pane e del vino!
Pentitevi, voi che vivete, e state in pace con Gesù.

Di fronte a queste parole di Elmerr potrei rimanere per ore, forse per giorni. Forse anche per il resto della vita perché viene il terrore di abbandonarle e non essere pronti a pentirsi, e stare in pace con Gesù. Perché noi che leggiamo viviamo, e Elemerr è morto e ci parla e ci dice qualcosa di estremamente importante. E chi non vuole dar retta a un morto? Soprattutto se appare così vivo, così ancora rapito dalla gioia d’esser stato perdonato…

Nella poesia di Elmerr sono condensati molti degli elementi cardine della vita di tutti, e dunque della morte perché l’una non può esistere in assenza dell’altra e come dice Serse Cardellini poi si sa che alla fine, appena venuti in vita si è già a un passo dalla morte…

Insomma, potrei andare avanti ancora moltissimo, trascrivendo poesie una dietro l’altra e commentandole ma quel che mi sta a cuore è questo: da quando sono bambino ho trovato nei cimiteri sempre tantissima vita e fin da bambino ho la sensazione che la morte sia un luogo abitato. Questo libro raccoglie meravigliose voci di morti, canti, racconti, versi… E’ un libro dei morti, che parla di vita, di tante vite che in un modo o nell’altro non sono finite, abitano solo da un’altra parte. E infatti proprio qui, in queste pagine, dove la morte è di casa, quello che salta al cuore è la spropositata forza della vita…

 

Il violinista Jones

La terra emana una vibrazione
là nel tuo cuore, e quello sei tu.
E se la gente scopre che sai suonare,
ebbene, suonare ti tocca per tutta la vita.
Che cosa vedi, un raccolto di trifoglio?
O un prato da attraversare per arrivare al fiume?
Il vento è nel granturco; tuti freghi le mani
per i buoi ora pronti per il mercato;
oppure senti il fruscio delle gonne.
Come le ragazze quando ballano nel Boschetto.
Per Cooney Potter una colonna di polvere
o un vortice di foglie significavano disastrosa siccità;
Per me somigliavano a Sammy Testarossa
che danzava al motivo di Toor-a-Loor.
Come potevo coltivare i miei quaranta acri
per non parlare di acquistarne altri,
con una ridda di corni, fagotti e ottavini
agitata nella mia testa da corvi e pettirossi
e il cigolìo di un mulino a vento – solo questo?
E io non iniziai mai ad arare in vita mia
senza che qualcuno si fermasse per strada
e mi portasse via per un ballo o un picnic.
Finii con quaranta acri;
finii con una viola rotta –
e una risata spezzata, e mille ricordi,
e nemmeno un rimpianto.

 

L’autore

Massimiliano Bardotti, poeta, ideatore e conduttore del corso di scrittura: La Poesia è di Tutti. Autore del libro “Il Dio che ho incontrato” (Ed. Nerbini). Cofondatore del progetto P.O.A. (Progetto Ospitalità Artisti): progettoospitalitaartisti.wordpress.com