LUTTO E ORAZIONE: COME PREGARE ?
Di Luciano Mazzoni Benoni
Premettendo che la preghiera rappresenta universalmente un elemento portante, potremmo dire addirittura ‘costitutivo’, della vita religiosamente orientata -come ampiamente documentato dagli studi di antropologia delle religioni- si intende qui mettere a fuoco un aspetto specifico ed attuale delle preghiera per i defunti, nell’ambito peculiare della confessione cattolica [adottando in questa sede un taglio semplificato e tralasciando di conseguenza l’apparato critico che imporrebbe il ricorso ad una eccessiva mole di fonti e citazioni].
Un fenomeno in ripresa
I numerosi studi che hanno analizzato quella che -nel quadrante euro-occidentale- è stata sommariamente e forse anche grossolanamente considerata come ‘la riscossa delle religioni’, hanno via via esaminato quali siano le componenti di tale svolta, imprevista secondo la prospettiva della ‘secolarizzazione’ determinata dalla modernità. Ora, tra i fattori che hanno determinato e/o accompagnato questo ‘ritorno al sacro’, compare indubbiamente la preghiera: come pratica tendenzialmente abbandonata dagli anni ’60 fino agli anni ’90, poi gradualmente riattivatasi con le più diverse forme e modalità: facendo emergere dal basso (come già accadde dopo l’epoca del primo illuminismo con l’esplosione di nuove congregazioni religiose) vie meno istituzionalizzate, come in primis i cosiddetti ‘gruppi di preghiera’. Vale a dire aggregazioni spontanee autogestite dal laicato e solo in un secondo tempo riconosciute e/o assistite dall’autorità ecclesiastica.
Tali fenomeni hanno acquisito una vera e propria dimensione di ‘movimenti’: tanto in ambito cattolico quanto in ambito protestante; tanto più in quest’ultimo mondo, registrando l’affermazione di nuovi filoni di spiritualità e perfino di nuove chiese neoevangeliche accanto a quelle riformate (neo-pentecostali e catecumenali). L’insieme di tali accadimenti ha così favorito anche momenti di confronto a livello ecumenico e interconfessionale, favorendo la nascita di iniziative in ogni parte del mondo, le quali esprimono una sorta di vita parallela con propri tempi, piuttosto autonomi rispetto alle cadenze dell’anno liturgico.
Una più recente riscoperta di interesse
E’ invece questione assai più recente l’emergere anche a livello pubblico ed ufficiale, rispetto alla discussione latente precedentemente già innescata, di una vera e propria ‘disputa’ su alcune formulazione dalla quale emerge non solo una revisione (ritorno all’antico), bensì pure una possibile riformulazione secondo le esigenze linguistiche e psicologiche odierne. Si tratta in tal senso di un fenomeno che vale la pena di definire in alcuni suoi caratteri:
– Il primo è determinato dal processo che ha innescato i movimenti sopra richiamati: che trova la sua ispirazione soprattutto nella riscoperta (sia a livello teologico che ecclesiale) della terza persona della ss. Trinità, lo Spirito Santo (dimensione pneumatologica). Motivo da sempre presente nell’essenza della preghiera cristiana (bene evidenziata soprattutto nelle fonti paoline): tuttavia ora riletta con tale forza da suscitare energie impensate secondo forme inedite, anche rilevanti nel culti e nelle assemblee (non solo nelle sale delle chiese ma in raduni di massa spesso ospitati negli stadi)
– Un secondo è da attribuirsi alla originalità della concezione cristiana: anch’essa in gran parte configurata dalla tradizione e tuttavia non secondo le regole così prescrittive e rigide tipiche di altre grandi tradizioni (ebraica o islamica) oppure così fisse nella loro espressione (il mantram nell’induismo e nel buddhismo); sicchè, una volta definite le forme canoniche (liturgia, paraliturgia, preghiera delle ore, ecc.) resta
– Il terzo riguarda quello potrebbe essere definito un ‘unicum’ della concezione cristiana e della libertà del credente; tanto più nel clima aperto dal Concilio Vaticano II; innescando dinamiche impensabili, quanto meno dai tempi del Concilio di Trento (che decretò l’irrigidimento di ogni aspetto della vita ecclesiale). Fa parte di questa nuova fase, non a caso autorevolmente definita ‘Primavera dello Spirito’, l’affermazione della ‘teologia spirituale’ come nuovo filone della teologia (ormai differenziatasi in molteplici specializzazioni e discipline) in gradi finalmente di riconoscere gli aspetti più sottili che compongono l’ascesi cristiana e la ricerca spirituale
Una imprevista rimessa in discussione di preghiere tradizionali
Le tendenze sopra descritte non hanno risparmiato nemmeno quelle che costituiscono, da secoli, il patrimonio più diffuso nella base dei fedeli cattolici. Rechiamo ad esempio, in termini semplificati i casi di alcune preghiere sottoposte a revisione:
– Salve Regina : per il passaggio “in questa valle di lacrime”, ritenuto oggi inadatto al linguaggio contemporaneo e
– Ave Maria : sull’intera seconda parte, riconosciuta come postuma (a differenza della prima, dotata di radici bibliche, e quindi suscettibile di riconsiderazione)
– Padre Nostro : riletto secondo canoni esegetici più aggiornati e ricondotto alla sua matrice ebraica; ma criticato specie su una delle ultime invocazioni (“non ci indurre in tentazione”).
Se queste discussioni erano già affiorate alla fine del secondo millennio: tanto da spingere Giovanni Paolo II non solo ad approdare alla riformulazione del ‘Direttorio della pietà popolare’ (un corposo documento: nel quale compaiono, accanto alla valorizzazione di tanti depositi tradizionali, anche rilevanti novità: basti pensare alla Via Lucis, che va a completare la ben nota Via Crucis); ma anche ad emanare con l’enciclica Rosarium Virginis Mariae con l’inserimento di un nuovo Mistero: quello della Luce.
A ben vedere, di tale esigenza si fece promotore lo stesso Paolo VI allorquando si propose di riformulare addirittura il Credo (Atto di Fede). Una tensione ripresa anche sotto il pontificato di Benedetto XVI, specie nel corso dell’Anno della Fede da lui decretato, nel nuovo clima inaugurato da papa Francesco esse hanno trovato più spazio e quindi il modo di esprimersi agevolmente: fino a registrare imprevedibilmente lo stesso intervento del papa, che ha notoriamente preso posizione sulla formulazione del Padre Nostro (manifestando apertamente la sua opzione a favore della correzione da tempo attesa: “non ci abbandonare nella tentazione” – già fatta propria dall’episcopato francese ed invece frenata da quello italiano).
La preghiera dei defunti
Una volta delineato lo scenario, che esprima in buona sostanza una maggior coscientizzazione della dimensione orante (se raffrontiamo le capacità medie di autonoma elaborazione psichica del fedele di oggi, rispetto alla condizione culturale subalterna di amplissime fasce popolari del passato: relegate quasi sempre alla recita di preghiere e di formule in una lingua ad esse del tutto estranea ed inafferrabile quale era il latino canonico) possiamo ora rivolgere l’attenzione alla discussione specifica che interessa l’ambito connesso alla morte, ed alla sua ricezione in ottica di fede, al lutto ed alla sua rielaborazione psicologica. Non prima di ricordare che invocazioni a favore dei defunti hanno ragione di essere (quanto meno nella tradizione cristiana – secondo precisi fondamenti biblici); e di come questa azione di ‘suffragio’ sia stata abbondantemente fatta propria dal popolo cristiano, determinando nei secoli tutta una precisa e multiforme ‘pietà verso i defunti’: un culto suggellato nella Commemorazione liturgica dei fedeli defunti del 2 novembre, accompagnata da appositi riti. Essa tuttavia -come attesta l’amplissima letteratura religiosa riabilitata dalla teologia spirituale prima accennata- accompagna, intimamente, la vita di ogni credente: il quale affida, con grande affetto e con una accorata preghiera, i propri cari alla misericordia divina e che quindi è indotto a una ripetizione o ruminazione costante della formula adottata. Ed eccoci dunque alla preghiera messa in questione: inserita anche nella Liturgia dei defunti (al termine della celebrazione eucaristica, al momento della benedizione della Salma e poi nel Rito di sepoltura al Camposanto), che nei libretti di preghiera e nel Benedizionale è definita come ‘preghiera ai fedeli defunti’ e che riportiamo fedelmente:
“L’eterno riposo dona a Lei/Lui/Loro, o Signore; e risplenda a … la Luce eterna; riposi in pace. Amen”
In questo caso, a differenza delle altre tre preghiere prima considerate, ad essere messo in discussione è l’intero impianto. A farsi interprete di questo disagio, ampiamente diffuso ed affiorato da tempo perfino nelle rubriche radiofoniche e giornalistiche della stampa e dei media cattolici, fu -anni or sono- un autorevole presbitero friulano: padre Oscar Morandini, fondatore dell’Associazione Il melograno; ed a lungo conduttore di una rubrica di spiritualità sulla nota emittente cattolica Radio Maria. Il quale, rispondendo ad accorate e sofferte richieste in tal senso di vedove e vedovi credenti i quali confessavano di non riuscire più a rivolgere queste parole ai loro congiunti defunti, ebbe ad ammettere la non coerenza di tale testo con la fede cristiana, perché infatti scaturita dalla più antica tradizione ebraica, contrassegnata quindi da una diversa visione della condizione post-mortem ed in particolare privata della luce della Resurrezione: sdrammatizzando in tal modo la tensione affiorata e riconoscendone la causa. Giungendo pertanto ad autorizzare i fedeli a correggere od a costruire in modo diverso e più consono alle proprie sensibilità le invocazioni in suffragio dei propri cari. Gli approfondimenti seguiti hanno poi messo in luce anche la distorta ricezione del linguaggio utilizzato nella formula: il quale riproduce una sensibilità spiccatamente determinata dalla lingua ebraica, specie nel ricorso al termine di ‘riposo’; il quale nulla ha a che vedere con l’accezione latina ed italica del termine (già tipica dell’espressione ‘cimitero’ quale luogo dei dormienti, derivata dal greco antico), mentre andrebbe ricondotto alla autentica radice dello Shabbat (insita nel riposo di Dio al termine dell’opera della Creazione secondo il Libro della Genesi), portatore di una intera ed ampia visione spirituale che sorregge tuttora la sua irrinunciabile e preziosa celebrazione settimanale nel mondo ebraico, ma che è invece del tutto smarrita e mal recepita dalla tradizione cristiana. Sicché, in modo spontaneo e libero ma secondo un serio discernimento, sono state di recente espresse differenti formulazioni di tale preghiera, di cui forniamo una declinazione possibile:
“L’eterna vita dona a Lei/Lui, o Signore, e risplenda a … la Luce eterna, gioisca in Pace.
Amen”
Ove si coglie facilmente un cambio di lunghezza d’onda e di tono: alla tristezza rassegnata ed alla prospettiva di una irreformabile immobilità, viene sostituita una promessa di vita ed una dinamica di gioia. Ad un senso di perdita si sostituisce un respiro di pienezza (ci permetteremmo di aggiungere: da un clima di prigionia ad un clima di comunione). Che nel volto del fedele può favorire la trasformazione di una espressione triste in uno sguardo gioioso! La riflessione proposta, mentre costituisce un fatto di cui tener conto, invita al rispetto delle credenze altrui (consolidate e/o in divenire) e reca con sé anche il suggerimento di dare valore alle nostre affermazioni, nell’ottica di fede: in una sempre più avveduta coscienza ed in una sempre più esigente coerenza.
L’autore
Luciano Mazzoni Benoni. Studioso di antropologia delle religioni e di teologia spirituale
Pubblicista, autore di pubblicazioni, Direttore della Rivista Uni-versum / ed. Diabasis