NOI, NATI DUE VOLTE
di Lorenzo Bolzonello
Tutti noi ricordiamo il furgone verde del Ponte Morandi, fermo a pochi passi dal baratro o le urla dei ragazzi che scappano dopo essere stati sequestrati dall’autista del bus nel milanese. Questi sono solo due esempi tra i più recenti fatti di cronaca italiani, ma sono moltissime le persone che hanno vissuto dei veri e propri drammi ed hanno la possibilità di raccontarli. Penso ai sopravvissuti dell’hotel Rigopiano, agli ostaggi liberati nelle zone di guerra, a chi è riuscito a salvarsi da inondazioni e terremoti o a chi era uscito dalle torri gemelle mezz’ora prima dell’attentato di quell’indimenticabile 11 settembre. Quelli che ho citato sono fatti che si caratterizzano per la loro unicità e che proprio per questo hanno avuto un forte impatto mediatico.
Tuttavia, se pensiamo a quel 30% di pazienti che, secondo l’Associazione Italiana di Oncologia Medica, sono guariti dal tumore nel 2018, ci si può rendere conto che le persone alle quali il destino ha concesso una seconda opportunità sono molto vicine a noi. Sono la parrucchiera del paese, il farmacista, il vicino di pianerottolo. Altre volte sono nostri familiari, persone che magari abbiamo assistito, supportato, accompagnato e sperato insieme a loro mentre venivano accarezzati dalla morte. A volte siamo noi.
Mentre si vivono quei momenti drammatici, qualora si riesca a porsi delle domande, le risposte il più delle volte vanno nella direzione del sentirsi soli, sfortunati e, per questo, incompresi. Si crea un abisso che separa noi dal resto del mondo che, distratto, prosegue nella sua incessante routine dandoci conferma della nostra solitudine. Alcune persone si fermano qui. Nonostante l’evento drammatico sia terminato, esso continua ad abitare la persona e ad essere presente più che mai nella sua vita aumentando la distanza che la separa dal resto del mondo perché sente che gli altri le devono qualcosa. Il più delle volte questo qualcosa è sentirsi accolti e riconosciuti nel proprio vissuto per poter esprimere liberamente anche l’emotività ad esso collegata. Per queste persone è come se la vita fosse finita lì e quel che li attende nel tempo che verrà sarà un pallido tentativo di sopravvivenza nel quale risuoneranno assordanti i vuoti lasciati dagli eventi dolorosi.
Tra queste persone, tuttavia, c’è chi riesce a rivedere quanto accaduto sotto una luce diversa, un punto di vista impensabile mentre si attraversa il dramma, ma che può farsi spazio quando accade quel processo delicato e prezioso che noi psicologi chiamiamo elaborazione. Esso implica delle profonde domande di senso alle quali la persona può provare a rispondere appellandosi ai propri personalissimi sistemi valoriali, di pensiero e spirituali. È in quel frangente che prendono forma nuove consapevolezze che vanno ad innestarsi nelle pieghe più profonde del nostro vissuto disegnando inesplorati orizzonti e stabilendo nuove priorità per la propria vita. In queste persone matura la sensazione che fino a quel momento stavano conducendo un’esistenza, nel senso più passivo del termine, trascinati dalla monotonia della mediocrità. Diviene vita quando acquista consapevolezza, significati, obiettivi e, di fondo, un grande senso di gratitudine. Sì, perché sembra incredibile, ma si può anche essere riconoscenti nei confronti di alcuni eventi dolorosi quando si riesce a cogliere in essi la spinta verso una maturazione.
Pertanto, quella distanza che prima isolava il singolo dal gruppo, ora diviene spazio di comunicazione, di scambio e di ricchezza. Essa è terreno fertile per seminare grani di consapevolezza e testimoniare la propria gratitudine. C’è chi lo fa con progetti faraonici o di grande slancio umanitario e sociale e chi sceglie la costanza dei piccoli gesti quotidiani come un sorriso, un grazie ben detto, una carezza al momento opportuno che divengono il marchio inconfutabile di un cambiamento.
Concludendo, si può sintetizzare affermando che davanti ad un evento doloroso, c’è chi smette di vivere in concomitanza con esso e chi, invece, in quegli istanti nasce una seconda volta.
Quando ci colpisce un lutto, il processo di elaborazione che si avvierà qualche tempo dopo, affonda le sue radici proprio negli istanti del rito funebre. Luoghi, parole, gesti, persone, segni e simboli che compongono la ritualità favoriscono o meno un positivo processo di elaborazione del lutto.
Il rito di commiato, quindi, è il ponte che collega il mondo dei vivi con quello dei morti consentendo a questi ultimi di essere ricordati, celebrati e custoditi in un sistema di significati cui fa riferimento la famiglia e la comunità e, altresì, permettendo a chi resta di maturare nuove consapevolezze e visioni utili a dare un nuovo e più profondo slancio alla propria vita. Il rito funebre, dunque, unendo e separando, chiudendo e aprendo nuove realtà relazionali non solo è la celebrazione della nuova vita ultraterrena per chi ci lascia, ma per gli altri è un’occasione per nascere una seconda volta.
L’autore
Lorenzo Bolzonello è psicologo, tanatologo e cerimoniere funebre. Ha conseguito il diploma in “Death Studies & the End of
Life” con un progetto innovativo di casa funeraria e ha lavorato per un’impresa funebre lombarda.