QUALE FUTURO PER I CIMITERI?

di Marina Grazioli

 

“Risorto,Gesù si è mostrato a Maria Maddalena

in abito di giardiniere”

                                                                     “Il giardino è il luogo dove contemplare

                                                                     metamorfosi e impermanenza” Pia Pera

 

La pandemia 2020 ha trasformato i cimiteri chiusi per mesi in luoghi ridondanti di morte: degrado ovunque, erbacce, incolto, disordine, seccume, desolazione e dimenticanza, una sorte di francescana temibile “morte secunda”, per il rapporto bruscamente interrotto con la natura e i nostri cari defunti. Ciò, direbbe Marina Sozzi, a sostegno e plauso del problema della dissimulazione della morte nel nostro tempo.

Il Covid-19 ci ha confermati “nella negazione della perdita, nell’orrore per la decomposizione del corpo e per l’alterità del cadavere” (Sozzi, 2009) sottraendo per legge i morti ai vivi, non senza aver prima declinato al massimo la solitudine e quindi la sofferenza psicologica dei morenti.

Nel compiere l’abituale “processo di allontanamento e di inscatolamento:  bara, tomba, recinzione del cimitero” (Baudrillard,1980), si sono aggiunti l’interrotto rapporto con la vita nel rigoglio dei fiori e dell’erba, curati, tagliati ed innaffiati da una sorta di “giardiniere dell’anima” quale noi siamo per i nostri affetti e quale è l’Istituzione per il rispetto dovuto alla memoria delle persone entrate a far parte della comunità defunta.

Il pericolo, sempre in agguato, ed astuto nel coglierne l’occasione, è che la nostra società dimentichi i propri morti, divenuti solo cadaveri, anzi, “rifiuti speciali da smaltire”, privati dunque, della loro essenza antropologica di persone, con una precisa storia biografica,persone che hanno vissuto e hanno lasciato tracce più o meno intenzionali,  del loro passaggio su questa Terra.

Allora, proprio in questi tempi di coronavirus, in cui nemmeno il corpo è stato rispettato (no camera ardente, no vestizione, immediata chiusura della bara, cremazione anche contro la volontà del defunto…), nemmeno il rito concesso, a lenire il dolore, è tornato prepotentemente ad affacciarsi un sogno. Amerei vedere, come ho visto di persona ed ammirato in Bretagna, tutti i cimiteri d’Occidente come prati di cui falciare l’erba a prato inglese, sempre innaffiata e verdissima, con qua e là zampilli di fontane, simbolo dell’acqua di vita da cui siamo stati generati.

Cimiteri-prato e giardino in cui passeggiare, tra croci bianche tutte perfettamente uguali (il bianco è sintesi della luce ed è il colore dello Spirito), panchine in ombra per leggere, meditare o semplicemente riposarsi, e leggii in pietra per la parola che nasce dal silenzio e si fa voce nella poesia, nel canto, nella preghiera.

Tutti i defunti, seminati nella terra, a nutrire l’erba, così come Alba Marcoli descrive in due versi “Ciascuna foglia, ciascun uomo, cadendo, passerà i propri umori, le proprie essenze ad altra imprecisata vita” (Marcoli, 2013). Non dimentichiamo che la morte è un passaggio biologico della materia organica che, attraverso la decomposizione del cadavere, si trasforma in materia inorganica, identico mistero del big bang cosmico che dall’inorganico ha tratto la vita.

“Ciò che è proviene da ciò che non è Ciò che non è contiene ciò che è” (Lao Tsu).

Amerei vedere che maturasse in molti, e poi in tutti, questo modo di concepire il cimitero che, personalmente, preferisco chiamare ancora camposanto, modo che sento più umano, più legittimo, più naturale, più sostenibile, più rispettoso del ciclo della vita.

Niente dunque condomini per defunti, loculi, tumuli e cappellette, con incessante consumo del suolo e cementificazione (già i danni li perpetriamo da vivi, non carichiamoci di questo fardello anche da morti!). Ma anche niente cremazioni con cui inquiniamo l’aria degli scarichi (sia pure depurati) di quei forni a gas che ricordano tristemente e paurosamente i forni nazisti.

Amerei cimiteri del futuro come parchi della memoria affettiva, nei quali percepire, camminando, l’assottigliarsi del distacco e della distanza fra i vivi e i defunti.

Viviamo nella fisica quantistica, abitiamo le neuroscienze alla ricerca della coscienza…Dovremmo sapere che siamo energia vibrazionale, il colore azzurro dovrebbe rivestirci, nel passaggio, per proteggerci da ogni interferenza e la sepoltura  in terra sarebbe la migliore in assoluto perché la nostra frequenza vibra  con la frequenza della natura e la liberazione del corpo è più veloce.

D’altra parte, il nostro stato originario è XU, il vuoto o WU, il niente, entrambi collegati dal QI, il Soffio della vita, dell’energia, dello Spirito che ci ha dato la possibilità di essere, di essere stati e di tornare ad essere, nella nostra essenza, ciò che siamo: fotoni di energia, immortali per sempre.

 

 

Bibliografia

Oberto Airaudi Imparare a morire  Vajra Damanhur

Francois Cheng 5 meditazioni sulla morte  Bollati Boringhieri

Francesco Campione La buona morte  Clueb

Vittorino Andreoli Il corpo segreto  Rizzoli

Marina Sozzi Reinventare la morte  Laterza

Eugenio Borgna L’arcipelago delle emozioni  Feltrinelli

Pia Pera Al giardino ancora non l’ho detto Ponte alle Grazie

Alba Marcoli Lettere all’anima  Paoline

 

 

 

L’autrice

Marina Grazioli è stata insegnante di scuola primaria. Ha frequentato nel 1990 la Scuola di Poesia di Modena e ha seguito la Formazione biennale sul metodo autobiografico con il Prof. Duccio Demetrio. È bibliotecaria e documentarista con Formazione Ministeriale. Nel 2014 ha fondato a Cremona l’Associazione Confine, di cui è presidente, per offrire cittadinanza al dolore sui temi del lutto e della sua elaborazione.

Stampa l’articolo:

QUALE FUTURO PER I CIMITERI