Il tempo di un respiro: l’effimero ritorno alla vita dei bambini mai nati mai morti

 

Simona Pedicini

 

Anno 1479. Gli statuti sinodali di Langres, comune francese, descrivono la seguente scena: “benché gelidi e duri come un bastone, ritrovano flessibilità sotto l’azione di un fuoco carbone, e talvolta dei ceri e delle lampade accese, mostrando per qualche tempo un colore roseo e colando del sangue dalle loro narici, sembrando talvolta trasudare e mostrando pulsazioni alle vene del capo e del collo, sembrando che s’aprisse loro un occhio e un soffio caldo esca dalle loro narici, al punto da far muovere una piuma che viene loro accostata” (Mattioli Carcano, 2009, p. 71). Protagonisti dell’episodio narrato sono bambini speciali, quelli “soffocati nel seno della madre” (Mattioli Carcano, 2009, p. 70) ossia nati morti oppure morti subito dopo essere nati, in entrambi i casi deceduti senza aver potuto ricevere il sacramento del battesimo. L’acqua lustrale non aveva dunque lavato dal peccato originale le loro anime, la cui destinazione finale nell’Aldilà tanto aveva fatto discutere i Dottori della Chiesa. Prive infatti di qualunque colpa personale ma macchiate da quella originale, tali anime che non avevano avuto il tempo di commettere azioni esecrabili ma che nel contempo erano lontane dalla condizione di purezza necessaria per ascendere in Paradiso, furono alfine condannate dalla teologia cattolica al Limbo, a quello spazio intermedio dell’Aldilà destinato alle categorie umane non bagnate dalla purificazione del battesimo, quali i precursori di Cristo e i giusti del mondo pagano, tutti coloro cioè che non meritavano l’inferno ma nel contempo non erano degni di proseguire il cammino di ascesa a Dio.

 

I feti e i bambini morti senza battesimo costituivano una terza categoria di anime che vagavano come ombre liminali nel Limbus puerorum. In questo stato sospeso, in questo spazio liminare collocato ai bordi dei luoghi dell’inferno, le anime delle piccole creature non avrebbero patito “alcuna sofferenza fisica (la pena del fuoco) e interiore (il tormento della coscienza)” (Carpin, 2006, p. 81), ma sarebbero state condannate a vivere per l’eternità private della vista di Dio. Nonostante le tante dissertazioni i Dottori della Chiesa non erano riusciti a trovare nessuna risposta teologica alternativa al Limbo per collocare nell’Aldilà questa classe di confine dei morti, quella cioè dei piccoli defunti non battezzati. Vi riuscì invece la religione popolare che per sottrarre gli infanti alla dannazione del Limbus puerorum aveva elaborato una certo numero di riti, detti anche delle ombre, che costituivano un sistema di pratiche rituali diverse rispetto alla somministrazione del battesimo, quali ad esempio l’Eucarestia data a donne incinte oppure la sepoltura clandestina in chiese o in cimiteri dei morti prematuri nella speranza che la terra sacra potesse avere per le anime la medesima funzione purificatrice svolta dall’acqua lustrale. La più originale e ancora oggi la meno conosciuta fra le suddette forme rituali è nota con il nome francese di a’ répit ossia della doppia morte o della morte sospesa. Il cadavere del bambino veniva infatti condotto dal corteo dei genitori e dei parenti dinanzi a una immagine miracolosa e qui era esposto per un periodo di tempo variabile nell’attesa che la suddetta immagine sacra concedesse al piccolo defunto il miracolo di una tregua dalla morte, riportandolo in vita per pochi minuti oppure per poche ore, per il tempo cioè necessario a ottenere il battesimo. Ricevuto il sacramento, il bambino moriva per la seconda volta nella grazia di Dio. Solo a questo punto i parenti dell’infante deceduto potevano ritornare alle proprie case lasciandosi alle spalle quel posto in cui si era compiuto il prodigio della momentanea resurrezione, quello spazio tipico del gruppo dei cosiddetti loca sancta. Diffusi in Europa e in parte anche in Italia, erano i solo luoghi in cui poteva essere celebrato il rito dell’effimero risveglio, erano i noti santuari a’ répit o del ritorno alla vita. “La Francia è certo la terra più ricca di répit, e gli studiosi hanno identificato nella zona orientale – dalle Fiandre e Piccardia […] fino alla Provenza – un lungo canale dove maggiore è la densità dei luoghi in cui il rito era praticato […], mentre la Francia occidentale sembrerebbe non conoscere il fenomeno […]. 279 santuari in Francia, 56 in Belgio, Lussemburgo, Olanda, 30 in Svizzera, 39 in Austria, 5 in Germania.

 

L’uso di ricorrere a un particolare tipo di resurrezione per i bambini nati morti apparirebbe poco diffusa in Italia dove però è presente da occidente a oriente della regione alpina […]. L’unico caso riferito alla zona peninsulare dell’Italia è rappresentato dal santuario della Madonna delle Grondici a Macereto di Pazzicale in Umbria “ (Mattioli Carcano, 2009, pp.43-44). Sparsi dunque in diverse parti d’Europa e d’Italia i santuari a répit avevano fra le diverse peculiarità la caratteristica di essere stati eretti in quei luoghi già sacri al culto pagano. Questo anche aveva dovuto affrontare la complessa questione del destino delle anime dei bimbi morti prematuramente, come dimostrano le numerose leggende che assimilavano le loro anime a folletti dispettosi oppure a spiriti vaganti in cerca di pace. Occorreva dunque placarli con riti più o meno magico- esoterici,  diretti antecedenti di quei prima citati riti delle ombre con cui le anime degli infanti morti senza battesimo venivano sottratte all’eterna condanna al Limbo.

 

In continuità con i santuari pagani, i loca sancta quindi ne condividono la collocazione in contesti naturali spesso appartati. Avvolti infatti dai silenzi dei boschi, costruiti su di un monte, su alture, in zone collinari, sempre accanto a una sorgente d’acqua magica, i santuari a’ répit sono i luoghi del dolore e della speranza di quei genitori che sottopongono il corpo del proprio figlio a un rito capace di garantire all’anima l’ingresso nella luce dei beati consentendole di trovare pace e di non più vagare sulla soglia del’Aldilà. Trasportati a braccia da commossi gruppi di parenti, i minuscoli cadaveri, spesso morti da tempo, sepolti e quindi riesumati, venivano adagiati, alla fine di dolorose itineranze, di estenuanti pellegrinaggi per impervi sentieri, nello spazio sacro dei santuari fosse esso l’altare oppure la cappella oppure il gradino del presbiterio. La maggior parte delle volte venivano collocati su di una pietra posta accanto o ai piedi dell’immagine miracolosa custodita nei loca sancta: statue, dipinti raffiguranti raramente un santo, quasi sempre la Vergine Maria, l’unica madre alla quale spetta “la prerogativa di compiere questo miracolo di tenerezza” (Mattioli Carcano, 2009, p. 66): restituire la vita persino a coloro che non ne avevano potuto beneficiare. Una volta deposto il piccolo morto iniziava l’attesa di un intervento della Madre che consentisse il prodigio: la tregua che sottraesse il cadavere dalle braccia della morte, il momentaneo ritorno in questo mondo, il flebile respiro, il tempo di un solo respiro necessario a impartire il battesimo. “Respiro”, “Tregua”, “Sospensione”: questi i significati del vocabolo francese répit. Fra pianti e preghiere quali il Salve Regina o l’Ave Maria oppure “orazioni e invocazioni particolari […] di cui non è pervenuto né il testo né qualche specifica notizia” (Mattioli Carcano, 2009, p. 70), genitori e familiari spesso accompagnati da un padrino e da una madrina, attendono, per un tempo che può essere di un’ora, di due, di un giorno, il verificarsi di quei segni di vita che attestano il temporaneo risveglio del fanciullo deceduto. Il piccolo corpo è esposto nudo in modo da poter essere meglio osservato anche dalla comunità che partecipa al rito: tutti pregano e guardano il cadavere, gli si avvicinano per meglio distinguere essi segni. Il bimbo deceduto è esaminato soprattutto dal chirurgo e dall’ostetrica, spesso presenti durante la celebrazione del rito a répit, i soli a poter scientificamente accertare in base ad alcune manifestazioni corporee che il bambino ha recuperato in modo inequivocabile la sua vitalità: la ripresa del battito cardiaco, il rossore intorno al cuore e al viso, l’aprire gli occhi, sanguinamenti, sudorazioni, movimenti degli arti e della lingua, livori, aumento del calore del corpo, la fuoriuscita di liquidi e di urina, e principalmente il primo e l’ultimo respiro a tal punto flebile da poter a stento muovere una piuma posta dai parenti sulla bocca del piccolo morto. In questo momento in cui soprattutto nel XVII secolo il confine tra miracolo e scienza, tra religione e medicina risulta talmente sottile che gli ambiti facilmente sconfinano l’uno nell’altro, in questo momento dunque viene impartito, quasi sempre da donne a differenza di quanto accade nel rito tradizionale, il battesimo, azione seguita da esplosioni di gioia, da canti di ringraziamento. Il miracolo si è compiuto, si è realizzato il prodigio del ritorno al mondo del piccolo defunto anche se per un solo istante, per quell’attimo in cui la morte è solo sospesa e non certo vinta: la vita abbandona immediatamente la creatura deceduta e la seconda morte sopraggiunge definitivamente mettendo l’anima del defunto a riposare in eterno. Il cadavere del bambino ora inizia a mostrare i segni della morte definitiva: è bianco, è rigido, è freddo. Le candele accese nel santuario accanto al corpo del piccolo per illuminarlo nell’effimero ritorno alla vita, gradualmente si spengono. È l’ingresso nell’Aldilà. I genitori possono dunque recuperare il corpo del figlio per poterlo finalmente seppellire. I Rituali richiedono infatti che la sepoltura dei bambini non battezzati avvenisse fuori dal cimitero parrocchiale o in un angolo di questo non dedicato. Ora invece il piccolo deceduto è sepolto nella parrocchia d’origine oppure in piccoli cimiteri speciali che accolgono infanti che avevano ottenuto il prodigio del ritorno alla vita: una cappella isolata, la cripta di un edificio rovinato.

 

Il primo episodio di répit sembra risalire al 1172, al 1378 per la Francia e al 1498 per l’Italia; l’ultimo è documentato in Francia nel 1912. A iniziare dall’ultimo scorcio del Seicento, il prodigio del temporaneo ritorno alla vita comincia a essere apertamente condannato dall’autorità ecclesiastica che ne parla nei termini di pratica di natura magico-superstiziosa. Tra il 1729 e il 1751 la Congregazione del Sant’Uffizio emana sei sentenze contro il rito del répit. Nel 1755 papa Benedetto XIV nella raccolta di istruzioni De synodo diocesano proibisce categoricamente di condurre in determinati loca sancta gli infanti morti senza battesimo. Nel 2007 la Commissione Teologica Internazionale del Vaticano stabilisce che il Limbo non è un dogma della Chiesa Cattolica ma una pura teoria teologica: i bambini morti prima del battesimo sono dunque affidati alla sola misericordia di Dio. La forma rituale del répit, che dal XVI al XIX secolo era stata fra le manifestazioni rituali più diffuse della cristianità contando centinaia di casi di avvenuto ritorno effimero alla vita, viene dunque definitivamente abolita. Non viene tuttavia cancellato il dramma umano in risposta al quale tale rito si è costituito: quello del modo in cui i genitori possano affrontare l’insostenibile, ossia la morte imprevista, scandalosa di un figlio infante; di quanto possa essere effettivamente inestimabile il dolore per la perdita di chi non ha mai vissuto e in che modo poterlo piangere; di quanta rassegnazione alla volontà divina debbano essere provvisti i genitori di fronte alla morte di un bambino; del significato da attribuire a una vita e a una morte che hanno avuto la durata di un istante, il tempo di un respiro.

 

Bibliografia

 

Carpin Attilio, Il limbo nella teologia medievale, Edizioni Studio Domenicano, Bologna, 2006

 

Mattioli Carcano Fiorella, Santuari a’ répit. Il rito del <<ritorno alla vita>> o <<doppia morte>> nei luoghi santi delle Alpi; prefazione di Annibale Salsa, Priuli & Verlucca, Ivrea (Torino), 2009

L’autrice

Simona Pedicini. Laureata presso l’Università degli Studi di Roma «La Sapienza» in Letteratura cristiana antica greca e latina si è successiva­mente diplomata presso la Scuola Vaticana di Biblioteconomia. Si è occupata di riordino e di inventariazione dei fondi antichi di archivi ecclesiastici del territorio laziale e di conservazione e valorizzazione del libro di pregio e raro in biblioteche di università pontificie. Esperta in scienza bibliologica e bibliografica del XVI-XVII secolo, attualmente svolge attività di gestione dell’editoria cartacea e digitale. Già specializzata tanatoesteta e cerimoniere funebre è diplomata in Studi sulla Sacra Sindone presso l’ Ateneo Pontificio Regina Apostolorum, e ricercatrice in Storia della mistica femminile di epoca barocca e Storia della tanatologia, con particolare riguardo alla storia della dissezione su corpo sacro e al rapporto tra Chiesa, storia della medicina e fine vita in epoca Controriformistica.

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