MANIFESTO DELLA TANATOLOGIA

Francesco Campione, Clueb, Bologna, 2005

1. La morte non è solo un tema di riflessione, studio e ricerca. La morte è anche un problema
esistenziale, il problema dell’esistenza umana.

2. La Tanatologia può essere, allora, considerata come lo studio del “limite” di tutto ciò che
appartiene all’esistenza umana, compresa la conoscenza.

3. Ne consegue che la Tanatologia non può essere una disciplina delimitata, un campo pre – definito
dello scibile umano.

4. La Tanatologia è, piuttosto, ubiquitaria e trasversale rispetto ad ogni campo della conoscenza.

5. Essa,inoltre, e per la stessa ragione, accompagna l’uomo in tutte le epoche della storia, cioè esiste
da sempre come parte di ogni disciplina conoscitiva e di ogni campo dell’attività umana.

6. Ed essendo parte di ciascun insieme di conoscenze e di ciascun insieme di attività, la Tanatologia
è quella parte delle le conoscenze e delle attività umane che le trascende tutte verso un “oltre” che
le accomuna nel limite.

7. Antropologia e Filosofia, studiando i modi d’essere dell’uomo e i loro significati ultimi,
incontrano la morte cioè i modi del non – essere, l’insensatezza e il mistero dell’ignoto oltre la vita.
Incontrano, in altre parole, il loro “limite” e questo limite le accomuna alla Medicina e alla
Biologia che, studiando la vita, incontrano il non -essere, la ricerca del senso dell’esistere e il
mistero dell’ignoto oltre la vita. Infatti, il “limite” della Medicina e della Biologia è rappresentato
dalle domande sul “perchè” si debba studiare la vita per difenderla se la morte la getta prima o poi
nell’insensatezza del nulla o la porta al cospetto del mistero dell’aldilà dell’essere. E attraverso
queste domande Medicina e Biologia incontrano Psicologia e Sociologia che, studiando la vita
individuale e sociale, incontrano il rapporto individuale e collettivo con la morte(dalla paura
individuale di morire che può sfociare nell’ossessione, nella depressione e nell’angoscia ;al
desiderio individuale di morire che può sfociare nell’eutanasia e nel suicidio; alla paura collettiva
della morte che si può esprimere nell’angoscia della fine del mondo; al desiderio che muoia l’altro
vissuto come minaccioso che può sfociare nell’omicidio se è un desiderio individuale ,o nelle
guerre se è un desiderio collettivo). E ciò le limita accomunandole: da una parte alla Teologia che,
studiando l’essere che non muore, incontra il suo limite allorchè voglia mettere quest’essere in rapporto con i mortali;
dall’altra, all’Etica che interrogandosi su ciò che è giusto, incontra il suo
limite quando vuole giustificare la violenza e l’assassinio.

8. La Tanatologia è quindi ubiquitaria e sincronica, cioè non può essere una disciplina autonoma
dalle altre ma tutte le attraversa in ogni tempo. Ed è prevedibile che sarà così finchè la morte
costituirà il destino dell’uomo, fondando la possibilità di affrontare conoscitivamente il mondo e il
rapporto dell’uomo col mondo sub specie mortis, cioè dal punto di vista del suo limite estremo.

9. Ma oggi la Tanatologia tende a presentarsi, a svilupparsi spontaneamente e a costruirsi
autonomamente, come un corpo di conoscenze ben distinte dalle altre e persino in grado di dare
luogo ad una professione con la sua identità tecnica.

10. Di conseguenza lo studio della morte tende a basarsi sempre più su una “riduzione” della morte a
qualcosa da misurare operativamente(cioè con qualche procedura standardizzata di misurazione)
come qualsiasi altro oggetto di scienza e di ricerca scientifica. In Tanatologia, infatti, si fanno
esperimenti e si costruiscono tests sperimentali come in qualsiasi altro campo. Con tanto di riviste
scientifiche su cui i risultati possono essere pubblicati rispettando i criteri dei lavori scientifici.

11. Questo “riduttivismo” tanatologico è reso possibile da un operazione più o meno esplicita e più o
meno consapevole di azzeramento di tutta la Tanatologia precedente alla applicazione ad essa del
metodo scientifico. Come se a studiare la morte e il morire l’uomo avesse cominciato con
Lindemann( ) o con Kubler-Ross o addirittura con la nascita delle riviste scientifiche
sull’argomento.

12. I classici della Tanatologia contemporanea(al pari della maggior parte dei classici delle Scienze
umane contemporanee) tendono, infatti, quasi tutti ad ignorare o a considerare inutilizzabile la
Tanatologia contenuta nella cultura di tutti i tempi.
Un esempio per tutti. Quando E. Kubler-Ross sostiene essere la morte lo schiudersi del bozzolo che
trasforma la larva in farfalla, ignora che Dante Alighieri nella Divina Commedia dice dei viventi
della terra che sono “vermi/nati a formar l’angelica farfalla/che vola alla giustizia senza shermi”.
E ignorandolo ignora che si che la sua concezione della morte è una concezione antica, ma che è
sensata solo nel contesto di una certa cultura, la cultura di cui Dante Alighieri è la massima
espressione per chi parla la lingua italiana .Certo potrebbe significare soltanto che Kubler-Ross
riproponga ai contemporanei una vecchissima ricetta. Ma perchè non lo dice che è consapevole di
riproporre una vecchia soluzione alla morte? Solo essendo consapevole di ciò potrebbe tentare di
tradurre in termini comprensibili per l’uomo contemporaneo l’idea che la morte apre una vita
migliore. In realtà non c’è traccia nell’opera di Kubler-ross
di una tale consapevolezza, altrimenti non potrebbe proporre a tutti ,come fa, la sua concezione
della morte con le stesse parole e gli stessi gesti nelle stesse atmosfere(l’atmosfera dell’accettazione
incondizionata degli stages che organizza per i morenti).Potrebbe essere questa la ragione per la
quale Kubler-Ross è una Tanatologa sulla quale ci si divide tra fedeli seguaci e irriducibili
detrattori, come tra chi ha una fede nell’aldilà e chi non ce l’ha:
non si possono parlare perchè appartengono a due culture diverse che solo
rispettandosi come ciascuno il limite dell’altro potrebbero entrare in empatia e costruire un
linguaggio per capirsi.

13. D’altra parte, finchè la Tanatologia era spalmata trasversalmente e dispersa in tutte le dimensioni
dello scibile, era difficile parlare esplicitamente della morte, cioè aver coscienza della possibilità di
affrontare la vita sub specie mortis, cioè dal punto di vista del suo limite.
La morte c’era dappertutto ma era il lato oscuro ,sempre invisibile, della vita, e agiva da “ombra” e
nell’ombra della vita.
L’espressione di ciò è stata la più o meno fondata – teoria della Rimozione o del Tabù della morteche
ha dominato le prime fasi della Tanatologia contemporanea e che ancora non ha cessato di
pesare.

14. Nelle sue prime fasi la Tanatologia contemporanea ha avuto, infatti, bisogno di presentarsi come
una grande novità e di saltare, per potersi sviluppare, sul carro dei vincitori dell’epoca, la Scienza e
la tecnica, mostrando di condividere così lo Zeitgeist dominante.

15. Ora è arrivato il tempo per la Tanatologia di fare un salto di crescita, diventando più
consapevole del suo passato e potendosi così aprire ad un futuro che non sia fatto solo del bisogno
infantile di farsi accettare.

16. Che questo tempo sia maturo si intuisce allorchè si cerca di avere una visione d’insieme della
Tanatologia nel mondo di oggi.
Si constata infatti che non esiste solo la Tanatologia scientifica raccolta attorno alle riviste
specializzate, alle Associazioni di Tanatologia nazionali e internazionali , ai crematorii o ai servizi
cimiteriali, e alle istituzioni tanatologiche assistenziali (soprattutto Home care e Hospice per i
morenti che si ispirano sempre più alla filosofia della Medicina Palliativa) .Esiste accanto a questa
anche un’altra Tanatologia, una Tanatologia che è sempre esistita e che vive nelle Religioni e nelle
loro pratiche, nelle Scuole filosofiche e di saggezza, nella Letteratura e nell’Arte, nelle culture o
sottoculture minoritarie, alternative o underground esistenti anche nella Società
Occidentale(movimento Punk, Buddismo, gruppi che si ispirano alla cosiddetta New Age, gruppi
che sviluppano pratiche di comunicazione coi defunti, etc.).
Si constata inoltre che è molto difficile comprendere la Tanatologia di sempre dal punto di vista
della Tanatologia ufficiale, poichè questa è in grado al massimo di compilare rassegne sulle
Tanatologie nel mondo che possono anche essere informativamente e decrittivamente esaustive ma
risultano necessariamente acritiche, mancando un dialogo costruttivo tra esse a causa del punto di
vista troppo ristretto(quello del riduttivismo scientifico) di coloro che compilano le rassegne.
L’impressione che si trae da queste indagini è che ogni cultura o sottocultura continua a coltivare
come sempre ha fatto la sua Tanatologia e si sviluppa “in parallelo” una
Tantologia scientifica che tende ad esportare dappertutto i suoi strumenti e i suoi metodi con esisti a
volte paradossali.
Sarebbe interessante studiare a fondo i paradossi che possono derivare dal tentativo di applicare la
Filosofia delle cure palliative o il metodo scientifico a culture con ricche Tanatologie classiche,
come quella cinese, giapponese, messicana, latina, coreana, indiana, etc.

17. Si impone a questo punto la necessità di formulare un criterio per distinguere la Tanatologia
scientifica che si è sviluppata in occidente nell’epoca contemporanea dalla Tanatologia classica da
sempre esistente.

18. Si propone il seguente criterio: entrambe hanno per tema di studio la morte e si occupano della
morte come problema esistenziale, hanno però un diverso modo di affrontare e di porre in relazione
tra loro queste due dimensioni che condividono.

19. La Tanatologia classica affronta il tema della morte in senso “teoretico”(cioè tramite la
riflessione) e dalle conoscenze che ne derivano -deduce- le tecniche per affrontare il problema
esistenziale della morte. L’esempio che si può fare è quello della Tanatologia sviluppata dalla
cultura greca classica:
Anassagora dalla concezione del rapporto di dominanza dell’intelletto sulle emozioni del corpo
deduce la tecnica della – Meditatio mortis – volta ad assumere verso la morte (altrui e propria) un
atteggiamento di dignità del portamento e di serenità.
La Tanatologia scientifica affronta invece il tema della morte in senso “empirico”(cioè tramite
l’esperimento) e dalle conoscenze che ne derivano -induce- le tecniche per affrontare il problema
esistenziale della morte. Tra i tanti esempi che si possono fare si può scegliere quello su cui si basa
tanta Tanatologia clinica: se si accerta empiricamente che nella maggioranza dei morenti è la loro
cattiva qualità della vita che alimenta la loro paura, la loro ansia, la loro angoscia e il loro desiderio
della morte; se ne indurrà che attraverso efficaci tecniche di palliazione in grado di migliorare la
qualità della vita dei morenti si potranno ridurre la loro paura, la loro ansia, la loro angoscia e il loro
desiderio della morte.

20. Ne deriva un’osservazione comune della scena tanatologica contemporanea: la Tanatologia
classica è ricca di pensieri complessi e ben meditati e povera di fatti empiricamente accertati, la
Tanatologia scientifica è ricca di fatti empiricamente accertati e povera di pensieri complessi e ben
meditati.
Sicchè le tecniche tanatologiche classiche (come la meditatio mortis) sono tecniche educative che
implicano cioè per essere efficaci di una formazione lunga e complessa;
le tecniche tanatologiche contemporanee sono tecniche meccanicistiche, la cui efficacia viene fatta
derivare dal corretto controllo delle condizioni oggettive di attuazione.
Detto altrimenti:
la Tanatologia classica tenta di risolvere il problema esistenziale della morte modificando l’uomo
nel suo esistere, la Tanatologia scientifica tenta di risolvere il problema esistenziale della morte
modificando le condizioni oggettive(biologiche, personali e sociali) dell’esistenza dell’ esistenza
dell’uomo.

21. La Tanatologia classica escogita tecniche che restano subordinate all’esistenza perchè
implicano, per funzionare, la trasformazione dell’esistenza stessa; la Tanatologia scientifica
escogita tecniche che tendono a subordinare l’esistenza a processi oggettivi che, per funzionare,
non hanno bisogno di cambiare l’esistenza.

22. Si tratta di due strategie corrispondenti a due esigenze entrambe fondate: l’esigenza delle
situazioni acute che richiedono soluzioni immediate e l’esigenza delle situazioni croniche che
richiedono soluzioni a lunga scadenza. E a seconda che si privilegi una o l’altra di queste due
esigenze si può preferire: o un modo rapido per attenuare, da una parte, l’ansia, la paura, l’angoscia
e il desiderio di morte che accompagnano la morte di se, e dall’altra, dolore, rabbia, malinconia e
rimpianto per la morte altrui;
oppure vivere queste emozioni negative per “crescere” e acquisire attraverso di esse un’esistenza
superiore.

23. Sarebbe meglio poter scegliere quando privilegiare la prima alternativa e quando privilegiare la
seconda.

24. La separazione tra la Tanatologia classica che vive tra le pieghe di ogni cultura e la Tanatologia
scientifica che tende ad imporsi alla luce del sole nella nostra cultura,rende impossibile questa
scelta indicando la necessità di costruire un dialogo effettivo e proficuo tra le due Tanatologie di
fronte alle quali ci troviamo.

25. Un tale dialogo potrebbe “coordinare” i due approcci tanatologici in modo da costruire a poco a
poco una Tanatologia unica e insieme ricca sia di pensieri complessi e ben meditati sia di fatti
empiricamente accertati.

26. Un tale dialogo consentirebbe alla Tanatologia scientifica(da cui si dovrà necessariamente partire
essendo essa la Tanatologia contemporanea) un continuo rimando critico alla tanatologia classica,
tramite la possibilità di far ricorso ai pensieri complessi e ben meditati della Tanatologia classica o
di altre sempre possibili tanatologie non scientifiche(con le tecniche che ne derivano), tutte le volte
che le tecniche derivate dai fatti empiricamente accertati non funzionano o incontrano il loro limite
critico.

27. Si usino pure, ad esempio, le tecniche della palliazione per sedare il dolore e migliorare la
qualità di vita dei morenti ma, tutte le volte che l’ansia, la paura, l’angoscia e il desiderio di morte
permangano in misura maggiore o minore, ci sarebbe solo l’alternativa di rinviare il morente ad un
futuro incerto nel quale si potrebbero prevedere tecniche di palliazione più efficaci. Ma
equivarrebbe ad abbandonare il morente al suo destino se non ci fosse, di fronte al tempo incerto del
futuro che gli apre la palliazione inefficace nel migliorare soddisfacentemente la sua qualità della
vita ,la possibilità di ricorrere ai metodi della Tanatologia classica(dalla meditatio mortis che rende
possibile avere di fronte alla morte un portamento dignitoso, alla consolatio philosphiae che da
senso alla morte, fino alle proposte religiose e culturali tradizionali o nuove).

28. Tramite questo dialogo si potrebbe fare ancora di più: prima di proporre a qualcuno una
soluzione o un’altra al problema della sua morte o della morte dei suoi cari, si potrebbe cercare di
comprendere quale approccio sia preferibile per lui o per lei in base alla sua precedente storia dei
tentativi più o meno efficaci che certamente ha già fatto nel corso della sua vita per affrontare la
morte. E nel caso che la soluzione preferibile fosse in linea con l’approccio classico significherebbe
avere il tempo di applicare una tecnica che implichi la modificazione dell’esistenza. Così come, in
caso contrario si applicherebbero le tecniche derivanti dalla tanatologia scientifica, salvo trovare il
tempo per modificare l’esistenza in un secondo momento, cioè allorchè si aprisse un futuro incerto
per le tecniche proposte, come nell’esempio della Medicina palliativa che abbiamo fatto sopra.

29. Perchè questo dialogo tra la Tanatologia scientifica e la Tanatologia classica sia realmente
possibile è necessario, come in ogni vero dialogo, che i due interlocutori siano consapevoli del
“limite” che li accomuna.

30. Il limite che accomuna La Tanatologia classica e la Tanatologia scientifica è la convinzione di
poter risolvere il problema esistenziale della morte tramite il “sapere”, il sapere deduttivo delle idee
o quello induttivo delle tecniche.

31. In realtà la morte non può essere conosciuta come si illudono di poter fare sia la Tanatologia
classica che quella scientifica. Infatti, la morte ,come evento che tocca ai morenti e ai dolenti, non
può essere replicata ne con la riflessione ne con l’esperimento,perchè essa è qualcosa di eccezionale
che riguarda in particolare qualcuno che ne vive l’emozione. E questa emozione, come ogni
emozione, è unica e irripetibile, cioè non riducibile ne ad un pensiero ben meditato ne ad un fatto
empiricamente accertato. E, tuttavia, l’emozione della morte rischia di essere “ridotta” ad un –
ideale- dalla Tanatologia classica, ad una norma statistica dalla Tanatologia scientifica.

32. Si potrebbe allora pensare che solo una Psicologia tanatologica possa essere in grado di
escogitare metodi per “sentire” empaticamente l’emozione unica e irripetibile della morte “come” la
sentono il morente e il dolente. Ma non basterebbe, perchè l’emozione della morte è l’emozione
che si prova di fronte al non – essere, non l’emozione per qualcosa che c’è ma l’emozione per
qualcosa che non c’è ancora(la propria morte) o che non c’è più(la morte dell’altro).Qualcosa che ,
non -essendoci, non può essere conosciuto ne riflessivamente(cioè facendosene un’idea,
replicandolo col figurarselo nella mente) ne sperimentalmente(cioè riproducendone le condizioni),
ne empaticamente.

33. Dice Levinas (Dieu, la Mort et le Temps, Edition Grasset et Fasquelle,Paris,1993):”
Il rapporto alla morte nella sua eccezione- e qualunque sia il suo significato rispetto all’essere e al
nulla, essa è un’eccezione – eccezione che conferisce alla morte la sua profondità, non è vedere e
neppure mirare(non è vedere l’essere come in Platone, ne mirare il nulla come il
Heidegger),rapporto puramente emozionale, commovente di una commozione che non è fatta della
ripercussione, sulla nostra sensibilità e sul nostro intelletto, di un precedente sapere. E’
un’emozione, un movimento, un’inquietudine nell’ignoto”.

34. La morte è un’emozione nell’ignoto e Tanatologia classica e Tanatologia scientifica hanno in
comune il “limite” che deriva dal voler conoscere l’ignoto. Ed è proprio attraverso la
consapevolezza piena di questo limite comune che le due Tanatologie potrebbero cominciare a
dialogare davvero, potendosi così superare verso una Tanatologia nuova e vecchissima insieme in
grado di affrontare il problema esistenziale della morte per i morenti e per i dolenti senza
dimenticare che la morte è proprio quell’esperienza che mette in crisi ogni “sapere”. Essendo essa
l’insieme di emozioni che si provano allorchè con la propria morte o con la morte dei cari tutto
tende a trasformarsi in un enorme punto interrogativo.

35. L’aiuto ai morenti e ai dolenti che una tale Tanatologia renderebbe possibile si può indicare
(nelle sue differenze rispetto a quello derivante dalle due tanatologie oggi presenti e operanti) con
due esempi.
I esempio. L’emozione nell’ignoto che il morente prova di fronte alla propria morte ha come unico
orizzonte la vita di coloro che restano e il morente può scorgere la possibilità di “morire per gli
altri”, cioè pensando agli altri e non a se nel morire. Sono gli esempi di coloro, pochissimi, che nel
morire si preoccupano per gli altri, per quanto stanno soffrendo e per come li lascerà la propria
morte. Che ne è in questi casi dell’ansia, della paura, dell’angoscia e del desiderio di morire che
caratterizza la crisi dell’uomo di fronte alla morte facendone un problema esistenziale a cui
bisogna trovare soluzione? Tenderanno ad essere accompagnate da un’inquietudine e da una
preoccupazione per il destino di chi resta che ne allenta la morsa. Si potrebbe considerare un
guadagno da poco se “morire per gli altri” non significasse per chi muore la possibilità che il bene
trionfi sulla morte e attraverso la morte: morire diventa preoccuparsi per la vita di chi resta e
realizzando nel morire il massimo dell’umano, assumersi a tal punto la responsabilità per la propria
morte da vederne gli effetti negativi su chi resta e dedicarsi disinteressatamente a minimizzarli.
L’ansia, la paura, l’angoscia e il desiderio di morte diventano un risvolto del morire per se e si
attenuano tanto più quanto più si muore per chi resta ,la morte da tragedia insuperabile per chi
muore diventa la possibilità di dimostrare agli altri che veramente gli vogliamo bene, come ben sa
chi è disposto per difendere la vita di un altro a sacrificare la propria vita.
Questo esempio mostra quale possa essere l’aiuto nuovo ai morenti consentito da una Tanatologia
basata sulla consapevolezza che la morte è un’emozione nell’ignoto: l’aiuto nella morte a guardare
le cose dal punto di vista di chi vivrà, che equivale ad amare gli altri che si amano anche nel morire
attraverso il “morire per” loro; un aiuto completamente diverso da quelli forniti dalla Tanatologia
classica e dalla Tanatologia scientifica. La prima infatti ,all’emozione della morte non sa opporre
che un esercizio stoico a mantenere il controllo cioè a dominare l’emozione con l’intelletto; la
seconda cerca di “far sentire” il meno possibile l’emozione della morte attraverso la palliazione che
migliora indirettamente la qualità della vita.
Da una parte, un aiuto per dominare l’emozione della morte o per non sentirla che deve basarsi su
una considerazione negativa di questa emozione; dall’altra un aiuto per lasciar produrre
all’emozione della morte non solo il negativo che pure produce(ansia, paura, angoscia del nulla,
desiderio di morte) ma anche il positivo, la dimostrazione che il bene disinteressato dell’altro è
possibile, dimostrazione che si può dare solo riuscendo a “morire” per gli altri, cioè anteponendo la
vita degli altri alla propria perfino nella morte.
II esempio. L’emozione nell’ignoto che il dolente prova di fronte alla morte dell’altro ha come
unico orizzonte la responsabilità che vivendo si ha per chi non c’è più, e si esprime attraverso il
pianto di coloro che non piangono per se stessi abbadonati e derelitti ma per chi non c’è più il cui
destino è ben più tragico: hanno dovuto abbandonare la vita! Sono coloro che smettono mai di
piangere, che dopo anni e anni dalla morte del caro piangono ancora, ma possono anche smettere
perchè poi certamente riprenderanno. Costoro dicono la possibilità che il lutto sia per chi muore e
non per chi resta, ci dicono che nel dolore e nell’abbandono della perdita chi resta può pensare a chi
non c’è più e ai modi per difenderlo dalla morte, per tenerlo in vita. Le preoccupazioni per
l’assenza dell’altro il desiderio che sia presente e gli sforzi perchè in qualche modo si presenti nella
vita dominano sulle paure per la propria morte, sulle angosce dell’abbandono ,sul rimpianto per chi
non c’è più e sulla tentazione di raggiungerlo nella morte.
Ecco l’aiuto nuovo che può procurare ai dolenti una Tanatologia consapevole della irriducibilità ad
un’idea o ad un fatto dell’emozione della morte dell’altro, l’aiuto a vivere il positivo che c’è
nell’emozione della morte: l’aiuto a “vivere per” chi non c’è più e non, come fanno le tanatologie
classica e scientifica rispettivamente, facendolo vivere, come spettro, nel mondo parallelo degli
antenati ,nei monumenti funerari o nel teatro dell’interiorità, oppure facendolo morire del tutto per
poterlo sostituire.

36. Si può riassumere con le parole di Levinas (Dieu, la Mort et le Temps, Edition Grasset et
Fasquelle,Paris,1993):”…L’essere umano non è conatus, ma disinteressamento e addio”.
Significa che se essenziale dell’umano è lo sforzo di esistere (conatus essendi) di fronte
all’emozione della morte non si può far altro che cercare di dominarla con le risorse della mente o
eliminarla dalla coscienza con le risorse della palliazione. Se l’uomo è capace di essere
disinteressato di fronte alla propria morte e di dire “addio” a chi muore(cioè salutarlo dicendogli
che possiamo ancora in qualche modo incontrarci, che c’è ancora vita per noi insieme),di fronte
all’emozione all’emozione della morte si realizza l’umano(disinteressamento e addio, appunto).

37. Ma questa nuova Tanatologia che può nascere dal loro dialogo ha bisogno della Tanatologia
classica e della Tanatologia scientifica, come l’adulto ha bisogno del bambino che ha superato e
perciò non deve ucciderlo.

38. Dialogo tra la Tanatologia classica e la Tanatologia scientifica; sviluppo di una Tanatologia
basata su – disinteressamento e addio- :ecco i compiti principali di una Società di Tanatologia
veramente internazionale, cioè in grado di far dialogare da una parte le diverse Tanatologie,
dall’altra di promuovere una nuova Tanatologia che le integri e le valorizzi nel momento in cui le
supera.

39. Una tale Società Internazionale di Tanatologia può essere immaginata come un luogo nel quale
Società nazionali o locali in genere di Tanatologia nonchè singoli tanatologi si sentano liberi,
qualunque sia il tipo di Tanatologia nella quale si riconoscono, di esporre le loro idee e le loro
proposte o di illustrare le loro tecniche perchè nessuno da un altro punto di vista ne contesterà la
legittimità, limitandosi tutti gli altri
a metterne in dubbio le certezze e a contenerne le intenzioni di dominio col costante richiamo alla
consapevolezza del limite comune: il limite
della morte di fronte alla quale ogni conoscenza e ogni dominio sono destinati a vacillare.

L’autore

Francesco Campione 

Tanatologo, Presidente Associazione Rivivere e Docente di Psicologia clinica e Psicologia della perdita e del lutto all’Università di Bologna

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