Trascendenza
di Francesco Campione
Condividiamo un articolo di Marco Rizzi da La Lettura, Corriere della Sera, di domenica 14 ottobre 2018:
Il Dio miope di Sloterdijk
Peter Sloterdijk divenne famoso in Germania nel 1983 quando pubblicò la Critica della ragion cinica, tradotta da Garzanti dieci anni dopo e ora nel catalogo di Raffaello Cortina, come tutti gli altri scritti del filosofo accessibili in italiano. La sua opera è stata oggetto di polemiche, specie dopo una conferenza del 1999 in cui sembrava sostenere che le manipolazioni genetiche, in futuro, potranno forse rappresentare il modo migliore per conseguire i risultati che l’umanesimo tradizionale riconduceva ai frutti dell’educazione.
In termini generali, l’intento fondamentale di Sloterdijk consiste in una rivisitazione dell’itinerario filosofico dell’Occidente, alla cui metafisica attribuisce una natura sostanzialmente totalitaria e globalizzante. A suo dire anche il progetto emancipatore della modernità e in particolare dell’Illuminismo si risolve, in evidente contraddizione con sé stesso, nell’esaltazione di un progresso la cui unica misurabilità si è ridotta al profitto economico.
In un simile disegno, l’analisi critica della religione è stata al centro di numerosi scritti di Sloterdijk, in particolare Il furore di Dio (2008). Ora appare da Cortina una raccolta di altri saggi, scritti tra il 1993 e il 2017, che sin dal titolo Dopo Dio ruotano attorno alla celebre diagnosi nietzschiana secondo cui “Dio è morto”. Ma per Sloterdijk il crepuscolo degli dèi celebrato da Richard Wagner sulla scia di Friedrich Nietzsche si trasforma necessariamente nel crepuscolo della civiltà, almeno così come l’abbiamo conosciuta: negli ultimi tre secoli, la creatività umana è stata capace di cambiare il mondo più di quanto sia accaduto in milioni di anni di evoluzione naturale, secolarizzando così il mondo, non più creato da Dio. In particolare, le scienze cognitive e l’intelligenza artificiale hanno determinato il tramonto dell’”anima” — intesa come la mente, l’intelligenza o in qualsiasi altro modo si voglia indicare la soggettività creatrice dell’uomo — a favore di un processo in cui le prestazioni dello spirito si trasferiscono alle macchine e all’intelligenza artificiale.
La visione di Sloterdijk, però, non appare deterministica o acritica. In quello che è forse il capitolo più intrigante del volume, “Il bastardo di Dio: la cesura di Gesù”, viene riletta la paradossale condizione di quest’ultimo: la sua particolare nascita, se si vuole la sua condizione di figlio illegittimo su questa Terra, lo colloca al di fuori della logica di appartenenza propria della discendenza umana, a favore di una libertà radicale.
La cancellazione dei genitori terreni (Mt 10,37: “Chi ama il padre e la madre più di me non è degno di me”) in nome di un Padre celeste del tutto estraneo alle logiche di questo mondo (Mt 12,50: “Chiunque fa la volontà del padre mio che è nei cieli, questi è per me fratello, sorella, madre”), al tempo della secolarizzazione compiuta diviene per Sloterdijk figura dell’insopprimibile dignità individuale: “Nell’epoca -dopo Cristo- a nessun essere umano può essere negato il diritto di vivere la propria vita come bastardo di Gesù. Un Giordano si trova ovunque. In un posto qualsiasi un essere umano può, uscendo dall’acqua, sentire una voce che proviene dall’alto e che dice che quello è il suo figlio prediletto, nel quale lui stesso, l’Altissimo, si è compiaciuto”.
Non mancano nel libro le diagnosi sulla condizione attuale delle religioni storiche. In generale, Sloterdijk ritiene che esse abbiano carattere residuale; anche i fenomeni più vistosi di ritorno al sacro, quali le diverse forme di integralismo, sono destinati a scomparire. Così come il Nuovo si è aggiunto all’Antico Testamento, e lo ha superato, è ora necessario — o forse inevitabile, allineandosi alla visione di Sloterdijk — redigere il “Testamento Più Nuovo”, che assuma e confermi aspetti dei precedenti, ma al tempo stesso ne obliteri altri. Vi si deve raccogliere ciò che l’insieme delle diverse culture non deve dimenticare, se intende procedere sotto il segno di una civiltà superiore. Ma, al di là dell’apparente ecumenismo, l’immagine rivela la sua matrice cristiana, drasticamente secolarizzata dal processo storico degli ultimi due secoli: dietro alla ormai tenue superficie religiosa che lo riveste, il “Testamento Più Nuovo” racconta non più di Dio e della sua rivelazione, bensì di diritti umani, delle scienze e delle arti che costituiscono il prodotto più alto di una comunità che non si definisce più come Chiesa, ma si apre a tutti coloro che sono disposti a creare, conoscere e imparare.
Un esempio significativo per capire che cosa intenda Sloterdijk è dato dalla sua analisi del protestantesimo (in realtà si riferisce alle Chiese storiche luterane), che ha rappresentato l’innesco della modernità, ma si è ormai esaurito nella sua parabola e risulta impossibilitato a entrare “in relazione con l’atmosfera fondamentale dei sentimenti odierni legati al mondo e alla vita”.
Emerge qui il limite della prospettiva di Sloterdijk sull’oggetto specifico e più in generale della sua intrapresa intellettuale: la comprensione occidentale, europea, se non addirittura tedesca, della storia dell’umanità (e del presente che ne sarebbe l’inevitabile prodotto) porta necessariamente con sé una capacità predittiva a prova di smentita?
Certo, Sloterdijk non è ingenuamente fiducioso nelle «magnifiche sorti e progressive», ma proprio le vicende delle più vitali metamorfosi della tradizione protestante, le Chiese e i gruppi pentecostali ed evangelicali, la loro diffusione e il loro successo a livello globale suggeriscono di guardare al mondo anche da orizzonti più decentrati: in fondo, il Giordano del battesimo di Gesù si trovava ai margini della prima globalizzazione, quella dell’Impero romano.
Commento:
Ad integrazione della recensione riprodotta sopra commentiamo brevemente uno dei saggi del libro: “Novità a proposito della volontà di credere”. Il saggio costituisce una buona base di riflessione per formulare una teoria della spiritualità che superi i limiti e le illusioni delle Religioni e delle Culture.
Sloterdijk in questo saggio elenca e illustra “sette aspetti del fenomeno della trascendenza”:
I. La trascendenza “sorge grazie al misconoscimento di ciò che è lento”. In altri termini, trascendersi significherebbe non riconoscere che certi fenomeni che durano più di una generazione ci costringono ad andare oltre noi stessi non perché vanno veramente oltre noi stessi ma perché non potremo osservarli nel loro intero svolgimento. Come dire che non ci sarebbero tutte le trascendenze che hanno una durata più lunga della nostra vita se non prendessimo la durata della nostra vita come un’unità di misura;
II. “…La trascendenza emerge dal misconoscimento di ciò che è intenso”. Significa che certe esperienze sembrano trascendenti per chi ne fa esperienza quando è sotto stress. In altri termini avremmo la sensazione di essere di fronte a qualcosa che va oltre noi stessi tutte le volte che un forte stress emotivo ci fa sentire come “posseduti” da qualcosa più grande di noi;
III. “… Una terza trascendenza scaturisce dal misconoscimento di quella che chiamerò qui -autonomia dell’altro-. In altre parole ci sembra di essere in un’esperienza trascendente tutte le volte che cerchiamo di farci chiarire da qualcuno che riteniamo responsabile di qualcosa che ci è accaduto (ad esempio da Dio quando ci muore un bambino e gli chiediamo perché) e questi non risponde, manifestando cosi la presenza di un “altro autonomo” che ci trascende;
IV. “… L’emergere della trascendenza va ricondotto al misconoscimento delle funzioni immunitarie”. In altre parole ci sembra di essere di fronte alla trascendenza tutte le volte che qualche rimedio a qualche male invece di considerarlo una difesa approntata contro di esso lo consideriamo una magia o un potere divino. L’esempio più esplicito di questa forma di trascendenza sarebbe secondo Sloterdijk quello di chi dopo aver preso una pillola di antidolorifico efficace misconosce il suo carattere “difensivo” e attribuisce all’anti-dolorifico un potere divino.
V. La trascendenza che potremmo definire “evolutiva”, corrispondendo essa al movimento dell’essere al di là del proprio livello attuale. Gli esempi di tale trascendenza si possono riscontrare a tutti i livelli dell’essere: a livello biologico la trascendenza in questo senso sarebbe lo slancio verso livelli superiori di sviluppo (l’inorganico che tende all’organico, la scimmia che tende all’uomo) per l’azione di quella “misteriosa forza” di cui parla Freud in Al di là del principio del piacere; a livello personale , la trascendenza sarebbe lo slancio dell’uomo che tende al super-uomo; a livello umano , la trascendenza sarebbe lo slancio del super-uomo che tende a Dio;
VI. La trascendenza si può manifestare “prendendo in considerazione le risposte degli esseri umani al modo in cui la morte rivolge la propria provocazione al pensiero”. L’esempio che Sloterdijk fa è quello dell’idea che gli uomini si fanno, in quanto mortali, “del luogo (presso -Dio-, nel -Nirvana-, nei -ricordi-) nel quale sono -andati- coloro che sono morti e nel quale, a loro volta, tutti si -trasferiranno- post-mortem”;
VII. La trascendenza che si accompagna all’idea “che un’istanza dell’aldilà, normalmente Dio, si rivolga in momenti straordinari, per compassione o pietà, agli uomini e li renda i destinatari di messaggi che vengono interpretati come Rivelazione”.
Come si può vedere, Sloterdijk tende a considerare la trascendenza come un aldilà che non esisterebbe:
I. Se sconfiggessimo illuministicamente, cioè grazie al “lume della ragione”, quattro misconoscimenti: che ciò che non si conclude nell’arco della nostra vita può sembrarci trascendente; che ciò che ci “possiede” sconvolgendosi emotivamente può sembrarci trascendente; che l’”altro autonomo”, che non ci risponde, può sembrarci trascendente; che ciò che ci difende da un male può sembrarci trascendente;
II. Se considerassimo lo slancio verso il perfezionamento un carattere intrinseco dell’essere;
III. Se rinunciassimo a considerare vivi i morti che si trasferiscono presso Dio, nel Nirvana o nei ricordi;
IV. Se ci rendessimo conto che quando Dio ci parla rivelandosi, stiamo solo proiettando fuori di noi un’istanza a cui obbedire e rispetto alla quale essere passivi.
Sloterdijk, in altri termini, sostiene, seguendo in ciò la concezione di William James, che credere nell’Aldilà può essere qualcosa di “volontario” se si chiariscono illuministicamente le origini di ciò che percepiamo come trascendente.
Come se la verità non fosse da raggiungere o da svelare ma fosse “determinata” in base al modo di ragionare.
Non è che la verità di ciò che siamo apparirà nel futuro e quindi ci trascende se questo futuro arriva dopo la nostra morte, bensì che la nostra verità ci sembra trascendente sol perché quando gli effetti della nostra vita si manifesteranno saremo già morti.
Non è che la verità di ciò che siamo apparirà quando qualcosa ci sconvolge alludendo ad una trascendenza, bensì che la nostra verità ci sembra trascendente perché essa non è controllabile emotivamente.
Non è che la verità di ciò che siamo si manifesta e ci trascende attraverso il silenzio che esprime l’autonomia dell’altro, bensì che essa ci sembra trascendente perché qualcuno non ci dice che effetti ha avuto su di lui questa autonomia.
Non è che la verità di ciò che siamo si manifesta e ci trascende quando qualcosa la salva, bensì che essa ci sembra trascendente quando ha bisogno per manifestarsi di qualcosa che non coincide con essa e la protegge.
Non è che la verità di ciò che siamo si manifesta e ci trascende attraverso la perfezione a cui tende e che non ha ancora raggiunto, bensì che essa ci sembra trascendente quando non consideriamo che alla perfezione tendiamo fin dalla nascita.
Non è che la verità di ciò che siamo si manifesta e ci trascende quando scopriamo in che luogo ci siamo trasferiti da morti, bensì che essa ci sembra trascendente perché immaginiamo che morire significhi trasferirsi da qualche altra parte (in Dio, nel Nirvana o nella memoria) restando vivi.
Non è che la verità di ciò che siamo si manifesta e ci trascende quando Dio ce la rivela, bensì che essa ci sembra trascendente quando immaginiamo che sia qualcosa di oggettivo da ricevere passivamente, ubbidendole, e non da inventare attivamente, migliorandola.
Se le alternative fossero solo queste due, saremmo fregati: o la verità esiste ed è irraggiungibile, o esiste e ce la siamo inventata noi. Abbiamo bisogno di un “terzo escluso”:
che la verità esista e che sia raggiungibile solo all’infinito!
Solo tramite questa terza alternativa potranno essere superate le illusioni simmetriche e contrapposte della spiritualità religiosa e di quella culturale: la prima potrà continuare a cercare una verità che esiste all’infinito, cioè senza illudersi di poterla raggiungere, la seconda potrà continuare ad inventare all’infinito sempre nuove verità senza illudersi di poter mai smettere.
Francesco Campione
L’autore
Francesco Campione
Tanatologo, Presidente Associazione Rivivere e Docente di Psicologia clinica e Psicologia della perdita e del lutto all’Università di Bologna